Il mondo del calcio è in lutto per la scomparsa del celebre fischietto italiano che si è reso protagonista anche in campo internazionale. Aveva 67 anni.
Il ruolo dell’arbitro, così come quello del calciatore, è cambiato radicalmente negli ultimi anni con l’esplosione delle ultime tecnologie. Se prima il direttore di gara doveva fidarsi esclusivamente del suo fiuto, oggi invece esistono decine di mezzi aggiuntivi che gli facilitano il lavoro in mezzo al campo.
Ci sono tuttavia nomi tutelari, talenti che con il fischietto hanno segnato almeno una generazione di appassionati del mondo arbitrale. Uno di questi è recentemente scomparso nella sua Salerno.
Il calcio piange un grande arbitro italiano
La Serie A è particolarmente amareggiata per la scomparsa di uno di quei fischietti che, come detto pocanzi, ha segnato almeno una generazione. È stato un talento unico, almeno fino alla fine degli anni 90′ quando per motivi politici e amministrativi, dovette per forza di cosa fare un passo indietro. Nonostante tutto ha avuto la brillante capacità di riuscire a calcare i terreni italiani che contano per tantissimo tempo, diventando di fatto un esempio per tutti i giovani che volevano intraprendere la non facile carriera di arbitro.
Roberto Boggi insomma è stato veramente un pilastro del suo mestiere, fino alla fine. Nato a New York nel 1955 ha avuto sin da dubito l’idea di diventare arbitro italiano. Debuttò, come capita a molti arbitri italiani, prima nelle serie minori e poi fece il grande salto in Serie B nel 1988, un anno in cui l’Italia vantava decine di arbitri di grandissimo talento. E Boggi, da questo punto di vista, poteva definirsi come uno dei più preparati in assoluto.
Boggi, dalla Serie A al mancato arrivo all’Aia
Boggi si differenziò subito dai suoi colleghi, raramente sbagliava valutazione o permetteva ai calciatori di creare risse in campo. Il rispetto che avevano di lui tutti i protagonisti del rettangolo verde di gioco era semplicemente straordinario. Il suo debutto in Serie A si ebbe in un Bari-Lazio del 1990: la decisione di gettarlo subito nella mischia, all’età di 35 anni, fu del designatore Cesare Guissoni che vide in lui un discreto talento. E non sbagliò.
Sei anni più tardi dal suo esordio in Serie A, arrivò l’altra tappa importante per un direttore di gara, ovvero l’inizio della carriera internazionale. Paolo Casarin, all’epoca designatore, lo scelse per arbitrare sia in Champions League che Coppa UEFA. Mantenne tale ruolo fino al 1999 quando Boggi stesso scelse di non proseguire. In totale, l’arbitro della sezione di Agropoli, diresse 119 partite di Serie A, tra cui va ricordata anche una finale di Coppa Italia del 1996 tra Fiorentina e Atalanta. Nello stesso anno ricevette anche il prestigioso premio Mauro.
Negli ultimi anni ha tentato la scalata ai vertici dell’arbitraggio italiano, ma nel 2012 non riuscì a scalzare il suo collega Marcello Nicchi, ancora oggi alla guida dell’Associazione Italiana Arbitri.