Costanzo Celestini ha rilasciato un’intervista in cui ha toccato diversi punti della sua carriera, dallo scudetto col Napoli alla panchina del Verbano.
L’ex centrocampista azzurro si è raccontato a 360°, partendo dal provino che gli ha cambiato la vita arrivando alla sua attuale avventura professionale.
Costanzo Celestini è stato un centrocampista del Napoli: cresciuto nelle giovanili, è arrivato alla vittoria del primo storico scudetto azzurro. Durante questa intervista ha ripercorso tutti i passi della sua carriera, partendo dal giorno che gli ha cambiato la vita arrivando all’oggi.
Celestini è attualmente l’allenatore del Verbano, formazione della provincia di Varese che milita nel campionato di Eccellenza nel girone A. È la sua seconda esperienza sulla panchina rossonera: quest’anno è tornato a stagione in corso e il suo lavoro ha permesso alla squadra di superare un momento complicato.
Durante l’intervista la voce era calma e pacata come di consueto, ma non nascondeva una certa emozione contagiosa nel ricordare gli anni più belli della sua vita. Inoltre, ha parlato anche del Napoli di oggi: di seguito le sue dichiarazioni.
Celestini a cuore aperto: il sogno di un bambino diventato realtà
Partiamo dal passato: le chiedo cosa prova un ragazzo nato a Capri come lei nel crescere, fare tutta la trafila e debuttare con la maglia del Napoli.
“Io sono nato e tifavo Napoli. All’età di 3/4 anni mio padre mi portava al San Paolo a vedere le partite, i miei idoli erano i calciatori di allora con mister Vinicio che dettava legge con un calcio spettacolare. Chiaramente era una squadra fenomenale con il capitano Juliano che era il mio esempio.
Il mio sogno era quello di, un giorno, non stare all’esterno sugli spalti, ma dentro il campo con la fascia di capitano del Napoli, un po’ come tutti i bambini. Dentro di me sapevo che sarebbe stata un’impresa non semplice. È capitata l’occasione di fare un provino con il Napoli, e pensa che il giorno prima dovevo andare con il Sorrento, nel 1975. Con mia grande gioia fra 100 ragazzi scelsero tre di noi. Cominciò la mia avventura con la maglia azzurra.
In quel periodo dormivo con la maglia del Napoli, quando mi diedero il kit per me era come toccare il cielo con un dito. La maglia azzurra mi faceva compagnia la notte. Da lì iniziò la trafila, poi con la Primavera diventammo Campioni d’Italia. Il primo passo in prima squadra fu in Coppa Italia contro il Palermo, poi in Coppa UEFA contro lo Standard Liegi e poi in Serie A contro il Torino. Furono esperienze incredibili che mi porto dietro e sono incancellabili. Da lì sono andato in pianta stabile in prima squadra e ci ho giocato per sei anni in Serie A vincendo anche il tricolore con il grande Diego fra i protagonisti ovviamente.
Ho avuto anche la fortuna di giocare con altri grandissimi campioni come Krol, Dirceu, Ramon Diaz, Daniel Bertoni… Tutti giocatori importanti. Quindi ho coronato il mio sogno da bambino”.
Ripensando alla stagione 1986/1987, quella del primo Scudetto e della Coppa Italia, cosa le viene in mente? Lei per un grave infortunio non è mai sceso in campo in Serie A quell’anno, ha giocato solo 23 minuti contro il Bologna in Coppa Italia.
“E tra l’altro con il Bologna mi sono infortunato di nuovo, perciò sono uscito subito. Il vero primo Scudetto lo abbiamo vinto con la Primavera del Napoli, eravamo tutti ragazzi del posto, tutti del sud. Mettere il tricolore sulla maglia azzurra fu un grande prestigio per la società. Ovviamente vincerlo con la prima squadra, anche se non da protagonista, ha un effetto completamente differente. Vincerlo con Maradona è stato molto più semplice che vincerlo con tutti ragazzi che avevano fame di diventare poi calciatori (ride, ndr)“.
Che ricordi ha di quella rosa? C’è chi vi ha definiti degli “scappati di casa”…
“Cassano ha ragione. Vicini a Maradona siamo tutti degli scappati di casa, non è un’offesa. Eravamo tanti scappati di casa vicini a Maradona, mentre Cassano è stato al Real Madrid con tanti campioni. Queste esternazioni lasciano il tempo che trovano, va rispettata la sua idea. Non la reputo un’offesa perché non ha tutti i torti, noi eravamo poca roba vicini a Diego. È stato un piacere, un onore e con grande orgoglio possiamo dire di aver giocato e di aver avuto come compagno di squadra il più grande giocatore del mondo.
Quello che ricordo con piacere è la gioia della gente di Napoli, il primo Scudetto è stato qualcosa di eccezionale, vedere la gente felice in mezzo alla strada è stata la gioia più grande per me. L’ho vissuto anche da tifoso, proprio perché io sono sempre stato tifoso del Napoli, per un tifoso il primo Scudetto rimarrà sempre stampato a fuoco. Ma anche il secondo, spero ci possa essere anche un terzo, ma non avrà mai e poi mai il sapore del primo”.
Com’era vivere tutti i giorni con Maradona fra il campo, gli allenamenti, le partite e fuori dallo spogliatoio?
“A differenza di quello che si possa credere, era un ragazzo normalissimo con la gioia di voler sempre avere un pallone fra i piedi, e se non c’era un pallone c’era altro con cui palleggiava, come un tappo, un gettone telefonico, un limone, qualsiasi cosa. Era un bambino, era felice sempre. Una persona con un cuore enorme, si è sempre prodigato per i compagni di squadra, ha sempre messo noi davanti a lui. Ha sempre combattuto il potere. Era una spanna superiore a tutti i calciatori che ci sono stati fino ad oggi”.
Di quel gruppo, ma anche di quello della Primavera a cui è molto legato, sente ancora qualcuno?
“Abbiamo un gruppo della Primavera del Napoli dove scherziamo dalla mattina alla sera. Quando sei genuino in un gruppo formato da ragazzi che si affacciavano alla ribalta con la fame di arrivare a giocare con la maglia azzurra nasce un legame. La nostra gioventù l’abbiamo vissuta insieme facendo grandissimi sacrifici, se si possono chiamare così. Per noi era comunque qualcosa di enormemente piacevole andare al campo con insegnanti come Mario Corso e Angelo Sormani, che oltre ad insegnare a giocare ti fanno diventare uomo“.
Sta seguendo il Napoli quest’anno?
“Certo, sono tifoso del Napoli ed è normale. Chiunque possa vestire la maglia azzurra cambia poco, giocherà per i colori della mia squadra, della mia città, avrà sempre un amico tifoso al loro fianco. Sto seguendo con gran piacere. Facendo gli scongiuri, per la posizione che occupa in classifica con otto punti di vantaggio credo sia un margine che, in questo momento, una squadra come il Napoli possa riuscire a gestire bene.
La squadra ha dimostrato di essere molto forte, compatta, carica di entusiasmo, e questa è un’arma importante. Tra società, squadra e tifosi è un unico blocco e porta a superare, se ci saranno, i momenti difficili e gli ostacoli”.
C’è un giocatore in questo Napoli che le ricorda Celestini?
“Io ero un po’ particolare. A me non piace mai fare confronti. Siamo giocatori completamente differenti semplicemente per il fatto che abbiamo vissuto delle epoche completamente opposte. Probabilmente sarei in difficoltà oggi a vestire la maglia azzurra perché fra social, sponsor, tatuaggi, tagli di capelli… Sono cose che non gradisco.
Rimane la fede, perché chi nasce tifoso di una squadra cresce con quei valori, però i giocatori di ieri sono diversi da quelli di oggi. Non mi sento di paragonarmi a qualcuno che probabilmente si potrebbe offendere. Ai miei tempi io giocavo e questo era importante, sono stato sempre titolare e quando c’era da conquistarsi qualcosa l’ho fatto, anche con gli avversari. Marcare Zico, Platini, Falcao o Muller non era cosa facile. Era un calcio differente formato da grandi campioni, ora fai fatica a trovare italiani nel campionato italiano”.
Quale giocatore del Napoli di oggi l’ha impressionata di più?
“A me piace tantissimo Zielinski, riesce a essere sempre determinante nelle due fasi. È un combattente, recupera palloni, ha grande qualità nel calciare in porta, ha gli inserimenti. Credo sia un giocatore completo”.
Oltre a quella del Napoli ha indossato altre maglie: c’è una piazza che le è rimasta nel cuore?
“Sono sempre stato un giocatore apprezzato per la sua generosità e sono stato bene, perché io vivevo e vivo di calcio. Tutte le mie squadre hanno riconosciuto che ho giocato con professionalità, con il cuore e senza risparmiarmi. Ho ricordi bellissimi di Catanzaro, Ascoli, Pisa, Avellino, Juve Stabia e Acireale. Tutte tappe che mi hanno fatto fare esperienza in città differenti con situazioni differenti. Il comune denominatore era il campo di calcio con un pallone e lì devi essere una persona che dà tutta se stessa, al 100%. Questo è accaduto e sono sempre stato apprezzato, questa è una cosa che mi fa piacere ricordare con grande orgoglio”.
Guardando al suo presente, come sta andando con il Verbano?
“Sono stato chiamato e sono subentrato in una situazione di grande difficoltà per il semplice fatto che sono accadute cose che con il calcio non c’entrano nulla e non dovrebbero mai accadere. In questo momento, pensando a due mesi fa, sia io che i ragazzi e la società siamo contenti del percorso fatto perché abbiamo dovuto “distruggere” tutto e ricostruire con ragazzi molto giovani che sono bravi e hanno voglia di vestire la maglia del Verbano. Cercano di mettersi in mostra per ritagliarsi uno spazio interessante in Eccellenza e magari in Serie D nel prossimo futuro. Siamo contenti, non abbiamo risolto tutti i problemi, ma con l’apertura del mercato riusciremo a sistemare qualcosa e fare un bel girone di ritorno”.