In casa Napoli Luciano Spalletti si sta facendo notare per la sua abilità: la differenza con la Roma è davvero eloquente
A modo suo aveva ragione, Luciano Spalletti. A modo suo, perché in realtà, se proprio vogliamo entrare nel significato del termine, turnover in gergo lavorativo significa semplicemente ruotare gli elementi a disposizione, senza distinzioni di bravura o di importanza. E in realtà in questo senso è più turnover il suo che quello – per fare un esempio – di Josè Mourinho.
C’è turnover e turnover, c’è chi può e chi non può. Spalletti ha a disposizione una rosa che il turnover può permetterselo, perché è davvero una rotazione di forza lavoro senza che il lavoro stesso ne venga intaccato. Il tracollo della Roma, prossima avversaria in campionato del Napoli, sembra invece che sia quasi nato a tavolino per dimostrare che i giallorossi la rotazione non possono permettersela. Dove finiscano i demeriti delle riserve e dove comincino quelli dell’allenatore, poi, è un altro paio di maniche. Spalletti invece sta dimostrando che il turnover si può fare eccome, se hai gli uomini giusti e l’intelligenza per sfruttarli al meglio.
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I 5 cambi sfruttati sempre alla perfezione, una gestione scientifica nel momento dei tanti infortuni e poi la capacità di tenere tutti sulla corda, lanciandoli in campo al momento giusto. Sono pochi gli elementi del gruppo azzurro che non stanno rendendo al top in questo momento, e il merito è anche e soprattutto di quella parola che così poco piace a Spalletti. Già, perché turnover può essere anche il cambio a partita in corso o la semplice sostituzione di un calciatore con un altro. Insomma, cambiare qualcuno degli undici per inserirne qualcun altro. Poi lo si può chiamare come si vuole. L’importante è farlo bene.
Analizzando la rosa della Roma, i numeri sono davvero eloquenti. Focalizzandoci sulle riserve giallorosse, possiamo notare come Kumbulla – arrivato due stagioni fa come uno dei maggiori talenti della Serie A – ha giocato appena quattro spezzoni di gara, per un totale di 193′ giocati; molti di meno quelle nelle gambe di Reynolds, solo 91′ dislocati in tre partite, mentre Calafiori – solo per gli infortuni di Spinazzola e Vina – è riuscito ad accumulare 417′ in sette gare.
A centrocampo la situazione non è migliore per le riserve, anzi. Pellegrini, Veretout, Mkhitaryan e Cristante sono intoccabili ed agli altri restano solo le briciole. Gonzalo Villar ha giocato solo 127′ e quattro presenze in totale, Diawara ne ha collezionati 145 di minuti in cinque presenze. Darboe, invece, in tre presenze ha all’attivo 179′. Tre ed otto minuti, invece, per Bove e Zalewski. In attacco è più omogenea la situazione; se il bomber titolare è Abraham, Shomurudov ha 12 presenze e 457′ giocati, molti di più rispetto a Borja Mayoral, la terza scelta, con 86′ in cinque gare. Carles Perez, in rete contro il Bodo, ha disputato fin qui 404′.
Decisamente differente la situazione in casa Napoli, a partire dai portieri, dove Ospina ha all’attivo 630′ in sette presenze e Meret 360′ in quattro partite. In difesa Manolas, scalzato da Rrahmani nel ruolo di titolare, ha collezionato sei presenze e 474′; Malcuit, complice anche il recente infortunio, è fermo a tre presenze e 133′ totali, mentre Juan Jesus è colui che ha giocato meno di tutti (escluso Zanoli, con 4′ all’attivo), con 97′ in quattro gare.
A centrocampo le differenze tra titolari e riserve si assottigliamo maggiormente. Se Demme, causa infortunio, ha solo 112′ nelle gambe in tre presenze e Lobotka ne ha 180′ in due gare, Elmas può essere considerato un titolare a tutti gli effetti; ben 573′ in 11 presenze, più di Zielinski, fermo a 445′ in 9 gare disputate.
Ed in attacco? Il vice Osimhen è Petagna, 119′ in 10 presenze, mentre Mertens – appena rientrato da un infortunio – ha collezionato 97′ in tre presenze. Il dualismo tra Politano e Lozano ha portato l’ex Inter a disputare 597′ a fronte dei 452 del messicano mentre Ounas, fino all’infortunio, aveva giocato 119′.
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