Perché il calcio insiste per ripartire: soldi, cause e depressione

Il mondo del calcio ha bisogno di ripartire per evitare strascichi legali e problemi economici ma non solo. In crescita il numero di giocatori depressi.

Il presidente Gravina passa ufficialmente la palla al Governo, ma alla fine ripartire è una necessità per tutti. Al di là di tante questioni etiche, nel bene e nel male, il problema resta sempre tutto l’indotto soprattutto se il calcio non dovesse ripartire. Per non parlare dei possibili strascichi legali e dei problemi psicologici evidenziati dalla Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori.

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Il calcio spinge per ripartire: ansia e depressione

Mascherine calciatori
Calciatori in mascherina (Getty Images)

Crescono i casi di ansia legati al lockdown e cresce la depressione fra i calciatori ed è una situazione da tenere parecchio sotto controllo. Per questo e tanti altri motivi si lavora per ripartire, ma continuano ad esserci seri problemi anche logistici. Il viceministro alla salute Sileri ha fatto capire che, con le porte chiuse, non c’è necessità di giocare in campo neutro. Sembra così sfumare l’ipotesi di fare disputare tutte le partite al Centrosud, zona meno colpita dal virus rispetto a regioni come Lombardia, Piemonte, Veneto o Emilia-Romagna. Ma intanto tiene banco la questione tamponi.

Tamponi e polemiche: tutto ancora da definire

Giovanni Malagò
Giovanni Malagò, presidente del CONI (Getty Images)

Ne servirebbero 1400 soltanto per iniziare ed è una situazione che ha già suscitato parecchie polemiche. E Malagò rincara la dose: “Provare a finire la stagione è un diritto – ha detto il presidente del Coni – ma è altrettanto importante immaginare un’alternativa se non si potesse ripartire”. Un’ipotesi estrema ma non ancora del tutto scongiurata. Decisivo in tal senso potrebbe essere il vertice convocato per mercoledì dal Ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora. Il mondo del calcio spera in buone notizie.

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