L’ammutinamento dei calciatori del Napoli è stato un atto dimostrativo contro il club. Sarà guerra, e a pagare saranno come sempre i tifosi
Fischio finale di Napoli-Salisburgo. Il Napoli ipoteca la qualificazione al prossimo turno di Champions League. Sembra la sera giusta per il riscatto, invece scoppia una bomba, la cui miccia in realtà era già stata accesa il giorno prima e poi subito prima della partita. Decisione maturata collegialmente da alcuni senatori dello spogliatoio azzurro, Allan e Insigne in testa: i calciatori non parteciperanno al ritiro imposto il giorno prima dal presidente. Arriva Edo De Laurentiis, per raccogliere i ragazzi e portarli a Castel Volturno. Si alzano i toni e scoppia il caos, al culmine di un clima di tensione fra la società e alcuni calciatori, su tutti lo stesso Insigne, beccato a più riprese dal presidente nelle ultime interviste. E poi Mertens, Callejon, lo stesso Allan, Koulibaly. Proprio i più anziani, i calciatori più esperti della rosa, i maggiori esponenti del ciclo sarriano. Una presa di posizione forte, fortissima, che affonda le radici in un malessere vecchio probabilmente mesi, prima ancora del casus belli.
Ammutinamento Napoli, l’inizio di una guerra?
Fine partita a mezzanotte, nuovo allenamento la mattina successiva alle 11: si trattava solo di dormire a Castel Volturno per poi ritrovarsi tutti lì, il giorno dopo. Sarebbe stato anche più comodo, per certi versi. Rifiutarsi di partecipare è stato un atto dimostrativo contro il club, l’inizio di una guerra che si preannuncia lunga e dolorosa, con una vittima sopra tutte le altre. La tifoseria, come sempre.