Timori, dubbi e perplessità legate ad uno dei talenti più complessi e controversi del nostro campionato. E se Zielinski fosse null’altro che un buon giocatore?
Scrivere di Piotr Zielinski è sempre complicato e impossibile da non stereotipare nello scolastico è bravo, ma non si applica. Nelle precedenti settimane ci siamo già trovati a trattare la zielinskiana materia, interrogandoci se il polacco avesse ancora margini di crescita da sfruttare ed esplorare. Adesso, quasi con malinconico picchiettare della tastiera, ci interroghiamo su un altro quesito. Un dilemma complesso e controverso, tanto quanto il talento del polacco: e se Zielinski fosse null’altro che un buon calciatore? Una domanda che ci frulla ormai da tempo e che va verso la soluzione finale partita dopo partita. E allora addentriamoci nel buco nero che è l’immenso e non sfruttato talento del polacco, lasciando cadere il velo di Piotr ed esplorando la complessità dell’universo zielinskiano.
Bisogna accettare che, ormai, Zielinski è questo: null’altro che un buon calciatore
Prima, una doverosa premessa: non è intenzione di questo pezzo sparare una sentenza. Anzi, semplicemente c’è la volontà di constatare un dato di fatto, ormai palese alla quarta stagione del polacco in azzurro. Zielinski è null’altro che un buon calciatore. Siamo obbligati a pensarlo. Dopo una prima stagione super-promettente (2016-2017 con Sarri, 6 gol e 6 assist), il rendimento dell’ex Empoli è andato via-via scemando. O meglio, si è andato assestando su livelli normali, da buon giocatore o poco più. Un anatema, se consideriamo le qualità tecniche e fisiche del polacco, che però viene spiegato ed esemplificato nel suo perenne atteggiamento dinoccolato e in ciabatte. E’ il rendimento a corrente alternata il più grande deficit di Zielinski, che in questo Napoli fluido e in costante evoluzione (o involuzione?), sta avendo ancor più difficoltà nel trovare solidità, certezze e costanza. Un paradosso, se pensiamo che Ancelotti lo aveva incensato come uno dei pilastri del suo nuovo ciclo in azzurro.
Senza scadere nel becero anti-ancelottismo o nell’altrettanto becera apologia di Sarrismo, il calcio posizionale disegnato dal tecnico emiliano sta avendo certamente effetti più negativi che positivi sul polacco, mettendone a nudo limiti caratteriali e decisionali. Certo, sarà pur vero che Zielinski non è stato progettato da madre natura per fungere da play a tutto-campo, ma è pur vero che ha spesso tradito le aspettative con prestazioni grigie anche in zone di campo a lui ben più conosciute. Un secondo paradosso, se consideriamo che l’imprevedibilità e la completezza tecnica del polacco dovrebbero renderlo il calciatore adatto in un sistema così libero e sciolto, come quello concepito da Ancelotti per il suo Napoli. E invece no, l’assenza di binari e di linee guide ben più precise, rendono l’ex Empoli ancor più svagato e poco in partita. E poi, sono la mancanza di verve, l’incapacità di risultare incisivo e determinante, se non in qualche sporadica occasione, che snervano e intristiscono: Zielinski sembrava destinato ad essere un giocatore assimilabile e paragonabile ad uno come Kevin De Bruyne, e invece siamo davanti soltanto ad un buon giocatore. Un reato, se ti ritrovi al mondo con quel talento e quella forza nelle gambe.