Il Napoli di Ancelotti e il suo tentativo di calcio fluido: tra alti e bassi, non è che il problema reale sono gli interpreti?
Il catastrofismo cronico è sempre stata una peculiarità della piazza napoletana, incapace com’è di essere geneticamente equilibrata sotto qualunque aspetto della propria vita quotidiana. E quindi, dopo la sconfitta contro il Cagliari, il favoloso e sconfinato mondo del web è già partito a caccia di una testa da mozzare, avanzando mille conclusioni sull’ormai fine ciclo ancelottiano in quel di Napoli. Ai “J’accuse!”, sono succeduti i “E’ venuto a prendersi la pensione“, espressione coniata da quella frangia di tifoseria rimasta ancora patologicamente ammaliata e imprigionata nella retorica sarriana e nel gioco sarrista di quella squadra che per poco non faceva saltare il banco.
Eppure, se si immergono a fondo le mani e si scava nell’infinito pagliaio dell’opinione pubblica napoletana (soprattutto in quella ancora segretamente sarrista), qualcosina di interessante e veritiero rischia di uscire. E di conseguenza le domande che ne scaturiscono non sono poi così infondate e prive di senso logico. Il calcio stupendamente meccanico visto nel triennio di Maurizio Sarri ha fatto spazio al calcio fluido e camaleontico (almeno in teoria) di Carlo Ancelotti. Questa è realmente l’idea di gioco più adatta alle caratteristiche dell’organico napoletano? Non è che il buon Carletto stia forzando un po’ la mano nel voler esprimere a tutti i costi un gioco che non sta garantendo molto equilibrio alla propria squadra?
Prima di procedere, però, è doverosa una premessa. La partita contro il Cagliari non è stata la scintilla che ha partorito questo pezzo, anzi. Anche nei suoi risultati più felici, il Napoli di Ancelotti sembra aver perso quell’equilibrio costante e quella capacità di fare comunque risultato, che lo aveva contraddistinto nella prima parte della scorsa stagione. E trovare una risposta reale e definitiva al perché di questo calare, è davvero complicato. I motivi sono da ricercare in tanti fattori, ma forse la polemica sarrista può venire in nostro aiuto stringendo il campo e trovando una possibile e logica soluzione. Soprattutto se volgiamo lo sguardo all’organico a disposizione di Carlo Ancelotti.
Il grande punto di forza del Napoli di Maurizio Sarri era al contempo la sua unica e reale debolezza: la meccanicità e la ripetitività degli automatismi di gioco. Un sistema così complesso che esaltava al contempo tutte le caratteristiche degli undici titolari. Se guardiamo ora al Napoli di Ancelotti, i motivi di alcuni evidenti black-out o di potenziali problemi di equilibrio non sono da ricercare nelle idee di calcio del tecnico, ma negli stessi interpreti coinvolti. Teoricamente, una squadra tuttocampista, fluida ed imprevedibile, camaleontica in ambedue le fasi, attira chiunque. Tecnicamente, adattare o snaturare certe volte alcuni calciatori nel tentativo cieco di mettere comunque in pratica le proprie idee, risulta azzardato.
Ora, non ne vogliamo fare certo una regola, ma la difficoltà di Ancelotti nel trovare la quadra definitiva al suo Napoli fluido potrebbe essere proprio questa: trovare una sistemazione fissa ad alcuni elementi chiave della formazione. Fabián, Zielinski, Insigne, sono tutti figli della stessa situazione. E Tra la fascia sinistra ed il centrocampo, il tecnico di Reggiolo rischia di generare degli equivoci tattici e tecnici di portata enorme. E’ chiaro, una soluzione non può rintracciarsi attraverso cinque centinaia di parole. Un dubbio lecito e fondato, però, sì: Ancelotti sta procedendo realmente verso il miglior Napoli possibile?
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