Emanuele Calaiò, un pezzo del Napoli di Aurelio De Laurentiis dà l’addio al calcio. Ecco perché è stato un simbolo della rinascita azzurra
L’Arciere. Per molti di noi è soltanto l’Arciere. Emanuele Calaiò si ritira e per tanti ragazzini è un po’ la fine di un’epoca, perché a suo modo ha fatto sognare un’intera generazione di tifosi del Napoli, forse quella più fortunata di tutte. Già, probabilmente è proprio così. C’è chi ha visto Maradona, chi racconta Sivori e chi il Napoli di Vinicio. Poi c’è quella generazione X di sfigati che possono raccontare Prunier e Calderon, Pasino, Zanini e il fallimento. E per finire i ragazzini, quelli che il primo Napoli è quello di De Laurentiis o poco prima: quelli lì non sanno neanche la fortuna che hanno avuto. Naturalmente – e che ve lo dico a fare – fra gli sfigati c’è anche il sottoscritto. Troppo giovani per ricordare davvero D10S, troppo anziani per non ricordare il periodo più brutto della storia azzurra. Un periodo che spesso ci ha colpiti nella fase clou della nostra crescita.
Che adolescenza ha passato chi assaggiava per le prime volte lo stadio ed era costretto a vedere lo scempio dei 14 punti del 1998, ad esaltarsi per le sgroppate di Saber, a vedersi sconfitto dal Vicenza (!) in finale di Coppa Italia? E forse è proprio per questo che – fateci caso – chi ha abbracciato il Napoli in quell’epoca drammatica di solito è molto più indulgente con il gruppo attuale e con De Laurentiis. Abbiamo amato la maglia azzurra quando non si vinceva più, poi le brutte figure e il dramma del fallimento: che riscatto può essere adesso vedere il Napoli di Ancelotti che batte al San Paolo i campioni d’Europa?
Emanuele Calaiò e i millennials fortunati che sono “nati” con lui
In realtà il classe 1982 Emanuele Calaiò rappresenta, per età, proprio i losers patologici di cui sopra. Coetaneo di chi ha visto il peggior Napoli e quindi idolo per la generazione successiva, quella fortunatissima, quella che ha potuto appassionarsi ad una squadra appena nata che da lì in poi è andata soltanto a crescere. In maniera esponenziale. Tanto che lo stesso Calaiò è diventato “non abbastanza” nel giro di qualche foglio di calendario.
Acquistato dal Napoli a gennaio 2005 in comproprietà e poi riscattato per un totale di 4,5 milioni di euro, un’enormità per una squadra di Serie B, l’Arciere è stato protagonista del doppio salto e in Serie A ha lasciato il posto a Zalayeta. Ma per chi ha dovuto subire Caccia e Aglietti, Dionigi e Gabriel Bordi, Emanuele sembrava l’acqua nel deserto. Forse per questo fra chi “ha visto Maradona”, chi “ha visto Calaiò” e chi invece sta vedendo Higuain e Cavani c’è un abisso, anche nel modo di approcciare il tifo. E la critica, per chi ha una briciola di sensibilità.
Calciatore che forse ha raccolto meno di quanto dicesse il suo talento, Calaiò è stato comunque un simbolo per chi ha visto il Napoli di De Laurentiis nascere, crescere ed arrivare dov’è adesso. Era il 1 luglio 2008 quando SuperManu passò al Siena per iniziare una nuova avventura. Sono passati 11 anni, nel frattempo c’è stato anche un breve ritorno, ma era più nostalgia che necessità. Undici anni. Quelli che bastano a una generazione di millennials per diventare grandi e contestare anche l’incontestabile. Ma niente polemiche, per favore: oggi si ritira quello che per una generazione intera è stato un simbolo di speranza e poi di riscatto. In bocca al lupo, Emanuele, e grazie di tutto!