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Sarri alla Juventus, ‘Sarrismo – Gioia e Rivoluzione’ chiude i battenti

Sarri alla Juventus, dopo l’annuncio ufficiale, la famosa pagina ‘Sarrismo – Gioia e Rivoluzione’ chiude i battenti: “Ha ucciso il Comandante”.

Maurizio Sarri Juve, le voci continuano ©Getty Images

Un colpo troppo duro da reggere, evidentemente, per la celebre pagina Sarrimo – Gioia e Rivoluzione: l’ufficialità di Maurizio Sarri alla Juventus genera un grande caos mediatico anche sui social, con il gruppo Sarrismo che chiude i battenti definitivamente. E lo fa attraverso questo post.

Sarri alla Juventus, ‘Sarrismo – Gioia e Rivoluzione’: “Ha ucciso il Comandante!”

No, non siamo scappati a Panama con gli inestimabili proventi di Fino al Palazzo. E ancora no, non abbiamo contattato Massimiliano Allegri in vista del Torneo estivo al Gabbione di Livorno. E infine no, non siamo finiti in qualche gruppo di autocoscienza collettiva tipo sarristi anonimi. Ce ne siamo stati per un po’ in silenzio – ci scuserete – per evitare di parlare con i se. Non lo abbiamo mai fatto, tanto meno avevamo intenzione d’iniziare proprio adesso. Abbiamo utilizzato questi giorni per leggere (poco) e per riflettere (tanto) sugli sviluppi di cui siete a conoscenza. Ci è capitato, tra le altre cose, di pensare a quali siano stati i riferimenti culturali che hanno dato forma a questa pagina. Non è stata un’operazione facile, perché dietro Sarrismo – Gioia e Rivoluzione ci sono i vissuti, le letture, gli ascolti, le passioni, i sentimenti di uomini diversi e geograficamente lontani. Finora era stato un esercizio sterile, narcisistico, spesse volte interrotto e lasciato in un cassetto della mente. Abbiamo scavato con più tenacia, trovando letture di cui abbiamo già parlato in altre circostanze – Camus e La Capria – ma anche più insospettabili come Marcuse, Pessoa (il Sarri bancario non sembra forse il protagonista del Libro dell’inquietudine?), I dieci giorni che sconvolsero il mondo di John Reed come riferimento storico, l’immancabile Nick Hornby. In Sarrismo – Gioia e Rivoluzione c’è anche tanta musica e dobbiamo ringraziare gli Area per averci concesso in prestito il nome di una loro canzone, ma soprattutto i CCCP, gli Offlaga Disco Pax, Pino Daniele e i Napoli Centrale per l’ispirazione. Avremmo voluto utilizzare una canzone dei Marlene Kuntz per farci un video ma non ne abbiamo mai avuto il tempo. Poi ci sono i film, e se ce n’è uno che rende bene lo stato d’animo nel quale spesso si sono adagiati i nostri sentimenti quello è Good Bye, Lenin!.

Molti conosceranno la storia, ambientata nella Repubblica democratica tedesca alla fine degli anni Ottanta. È comunque il caso di raccontarla, e per stavolta ci perdonerete lo spoiler. Una donna finisce in coma e si risveglia dopo il crollo del Muro e la fine del regime socialista. Il figlio, nel tentativo di non causarle un’emozione che potrebbe esserle fatale, decide di fingere che non sia successo nulla, che la DDR e tutto il suo pomposo carrozzone istituzionale siano ancora lì. Il giovane fa il diavolo a quattro per ricreare nell’appartamento di sua madre un grigio angolo socialista mentre tutto intorno è il trionfo chiassoso del capitalismo. Un giorno, però, la madre si alza dal letto e, cogliendo un momento di distrazione del figlio, esce in strada. Dopo qualche isolato si ritrova faccia a faccia con una enorme testa di Lenin trasportata da un elicottero (citazione un po’ irriverente di Fellini), pezzo d’una statua che evidentemente era appena stata abbattuta. La donna si trova dinnanzi a un segno talmente evidente del fallimento dell’utopia socialista da riuscire insostenibile, scandaloso, allucinante. Si sente male, sviene. Qualche tempo dopo morirà.

Oggi questa pagina e i suoi lettori si trovano dinnanzi a un segno ugualmente insostenibile, scandaloso, allucinante. Un segno nel quale si annida un paradosso, quello del successo della nostra utopia. La vittoria delle nostre idee è stata così assoluta, così estrema da trasformarsi nella nostra morte. Se questa roba è stata pensata da uno sceneggiatore, di sicuro si tratta di uno più bravo (o più fatto) di quello che ha scritto Good Bye, Lenin!. Vediamo la testa di Sarri trasportata da un elicottero. Non verso un misterioso luogo d’oblio ma in direzione Torino, verso il cuore del potere calcistico italiano. Là dove Koulibaly in una notte d’aprile s’alzò in cielo per gridare la superiorità di una delle squadre più belle che si siano mai viste nel nostro campionato, forse la più bella. Là dove si fa fatica a contare gli scudetti, ché la matematica stranamente non è il forte di chi passa il tempo a contare gli albi d’oro. Quelli che “vincere è l’unica cosa che conta” aprono le porte a quello che “il nostro obiettivo è la bellezza”.

Varcandole Maurizio Sarri compromette il suo rapporto con il pubblico napoletano e con tutta quell’Italia calcistica che da anni assiste alla dittatura di una squadra che non si accontenta più di vincere e di lasciare le briciole alla concorrenza, ma si diletta anche a seppellirne i miti. La Juventus ha dimostrato di poter comprare quasi tutto ciò che ha un prezzo in questo mondo, ma la poesia no. La Juventus può comprare Sarri, ma non può comprare il Sarrismo. Il loro potrà essere un matrimonio di successo, ma né la Juventus né Sarri vivranno mai qualcosa di paragonabile al triennio del Napoli sarrista. Non è questione di risultati, è molto di più: questione d’emozioni.

Sarri ha deciso di entrare in un mondo in cui viene percepito come un alieno, un intruso. Non si tratta di una scelta economica, come molti vogliono far intendere. Sarri al Chelsea guadagnava bene, si stava arricchendo e lo avrebbe fatto ovunque dopo la vittoria in Europa League, potendo contare su uno dei procuratori più influenti del panorama calcistico mondiale. La scelta professionale dietro cui si è trincerato per giustificare preventivamente un suo approdo alla Juventus altro non è che la necessità di dimostrare il suo valore ai massimi livelli. Sarri nasce sul campo, e sul campo vuol morire. Sul campo la sua ambizione non ha limiti, attizzata com’è da un infuocato desiderio di rivalsa verso chi negli scorsi trent’anni ne ha ignorato il genio, sottovalutato le capacità, umiliato l’orgoglio. Ed è un sacco di gente. Fino a meno di dieci anni fa Sarri ha mangiato polvere sui campi di periferia. Tra qualche settimana avrà l’opportunità di allenare uno dei calciatori più forti della storia e di perdere una finale di Champions League. Avrà l’opportunità, insomma, di spingersi fino al massimo possibile, di soffiare fino a restare senza fiato dentro una carriera nata sotto il segno di un dio minore. C’è tanta strada nelle scarpe di Sarri, e la verità è che il suo posto è la strada: non Napoli, non Figline, non Londra, non Torino. Chissà se mai troverà pace la sua anima in fiamme. Di certo, quando la troverà, non avrà più dietro un esercito.

Se c’è qualcuno che Sarri ha tradito, dunque, quel qualcuno è Sarri stesso. L’allenatore ha avuto la meglio sull’uomo, ha ucciso il Comandante. Resta il dubbio, certo, che Sarri fosse un personaggio anti-sistema perché il sistema non lo accettava, non perché lui non accettava il sistema. Appena ne ha avuta l’occasione, non solo lo ha accettato: ci è convolato a nozze. Ha scoppiato il mito con uno spillo, anzi con una sigaretta accesa: forse il mito era diventato più grande di lui, troppo ingombrante, troppo lontano dal campo. Ma sia chiaro che quel mito oggi scomodo non è stato una nostra invenzione, come certa stampa in questi giorni suggerisce. Sarri, negli anni, ha detto più cose contro il sistema che governa il calcio di quante ne abbia dette Sarrismo – Gioia e Rivoluzione. E se oggi afferma, giustamente, che questa pagina è animata da ragazzi che “si divertono”, gli va ricordato che nove mesi prima a “Chelsea Tv” dichiarava che la stessa pagina è stata animata da chi “ha compreso meglio di me la filosofia che sta dietro il mio approccio”.

Platone collocava tutte le idee in un mondo lontano, l’iperuranio, e riteneva che quella fosse la realtà. Sarrismo – Gioia e Rivoluzione ha fatto la spola tra questo mondo e quell’altro, tra Sarri e il Sarrismo, tra l’uomo e l’idea. Non ci tiriamo indietro: il culto della personalità è stato un importante fattore di aggregazione. Ma non è mai stato il nostro centro di gravità e lo abbiamo detto in tempi non sospetti, forse qualcuno lo ricorda: “Il nostro cuore non sanguina per un allenatore, ma per un’idea. E le idee, si sa, non muoiono mai”. Tutto quello che in questi mesi abbiamo scritto ci sopravvivrà, e ci fa sorridere che qualcuno creda che quella di oggi sia per noi una sconfitta. Ci fa sorridere anche tanta stampa che in questi giorni, dopo esser stata messa a nudo nella sua incompetenza e nella sua incapacità di analizzare la realtà, si adoperi con tanto impegno per cercare di sminuire il fenomeno Sarrismo – Gioia e Rivoluzione, non ottenendo altro che l’esatto opposto. Ci fanno sorridere tutti quelli che oggi brindano alla notizia di Maurizio Sarri allenatore della Juventus. Ci fanno sorridere perché hanno passato un anno intero a sminuire la figura di Sarri su due fronti: su quello italiano, con l’ossessiva comparazione con Ancelotti orientata a sminuire l’enorme lascito tecnico del Napoli sarrista, e su quello estero, con un’avventura raccontata nella spasmodica attesa di un esonero mai avvenuto. Il campo ha ancora una volta zittito tutti questi individui che si trovano costretti a celebrare la loro mediocre rivincita su questa pagina ignorando un concetto banalissimo: la Juve che sceglie Sarri per rilanciare le proprie ambizioni è la dimostrazione che di calcio non hanno mai capito nulla e mai ci capiranno qualcosa.

Per noi, certo, c’è la delusione verso l’uomo, scottante. L’Italia è piena d’incendiari che si ritrovano in divisa da pompiere, è una Repubblica fondata sul compromesso. Ed è un peccato, perché oggi questo paese avrebbe bisogno disperatamente d’idealisti intransigenti. Noi abbiamo coltivato l’illusione che lui fosse diverso, non alieno ma profondamente umano. Sarri, insomma, va fino al Palazzo. Ma ci va su invito. E ci va senza di noi. Abbiamo avuto il privilegio di raccontare tre anni della sua carriera incredibile, in un equilibrio spesso acrobatico tra allegoria e campo che lui aveva colto da subito. È stato racconto in prosa ed è stata poesia, ma non riprenderemo il filo né dell’uno e né dell’altra. Perché del nostro racconto perdiamo insieme il protagonista e l’antagonista, che oggi s’uniscono in un matrimonio che continua ad apparirci innaturale. Sarri è stato antagonista morale della Juventus persino dopo aver lasciato l’Italia, inumidendo di sudore le notti del vincente Allegri. La poesia, invece, la perdiamo nel rovesciamento dei ruoli: qui è Don Chisciotte che si schiera coi mulini a vento, il capitano Achab che rinuncia alla balena e porta a casa un banco di sardine, Raskolnikov che invece d’uccidere la vecchia usuraia si fa egli stesso usuraio. Non c’è poesia nel vincere a Torino. E se ce n’è, è difficile trovarla per chi tifa Napoli.

In questo momento, però, c’è in noi soprattutto l’orgoglio per aver affermato e rivendicato idee che non cambieremo d’una virgola. In primis, certo, sul piano sportivo: abbiamo sostenuto con passione un allenatore che riteniamo un genio. Oggi che quell’allenatore ha vinto in Europa pare facile dirlo, ma negli anni abbiamo affilato la penna contro una coltre di pregiudizio, ignoranza, malafede, cecità. Soprattutto, abbiamo parlato tanto di identità e di cultura nel mondo del calcio. Abbiamo inseguito il filo che legava Napoli al Napoli di Sarri, un amore viscerale e commovente consumato dietro l’armonia perduta di una metropoli orgogliosa e decadente. Abbiamo sparato tutte le munizioni di cui eravamo in possesso contro un ambiente malato di risultatismo, ingrigito dalle logiche del business, ammorbato da statistiche e anglicismi, diluito nelle chiacchiere. Su tutto abbiamo issato la bandiera della Bellezza come valore supremo, la Bellezza come antidoto alle ristrettezze del nostro calcio, delle nostre quotidianità, della nostra attualità. E poco importa quanto Sarri c’entrasse in tutto questo. Sarri, col suo Napoli meravigliosamente perdente, lo ha ispirato. E noi gliene saremo comunque grati. Per qualcuno la nostra è stata una pagina di culto, come un bel film o come un album rock. Ci piace pensarla così. Gli autori possono abbandonare i protagonisti di grandi storie, li possono persino “uccidere”, ma gli devono sempre portare rispetto. E, pur sapendo di deludere qualcuno, vi diciamo che non scaglieremo alcuna pietra contro il nostro protagonista.

Questa è comunque la giornata in cui potete regolare i conti con noi. Ed è giusto così. Vi abbiamo detto che Sarri e Juve era un pensiero folle, eretico. In parte lo pensavamo, in parte lo pensiamo ancora, in parte sapevamo di dover fare “all-in” e di dover essere gli ultimi ad abbandonare la nave, come fa un buon Comandante. Abbiamo scritto che Sarri alla Juve sarebbe stato più improbabile di Trump che si fa tatuare l’immagine del Che sulle chiappe e ora dovremmo essere noi a tatuarci l’immagine di Trump sul culo. Noi non solo non ci nascondiamo, ma ci mettiamo pure le nostre facce. Siamo Claudio, Fabio e Gianmarco, e non rimpiangiamo nulla di questi anni. Abbiamo detto quello che pensavamo, anche quando era più difficile, e forse l’abbiamo detto così forte che ci hanno sentito fino alla Continassa. Ci siamo divertiti da matti, abbiamo dato significato a una parola finita sulla Treccani, abbiamo presentato un libro davanti a 300 persone, coniato soprannomi entrati nel lessico d’un’intera città, ci siamo incazzati ed esaltati, depressi e inorgogliti. Abbiamo fatto incazzare una marea di gente. Abbiamo vissuto un sogno. Una cosa bella. E tutte le cose belle sono destinate a finire: questo lo sapevamo fin dall’inizio e abbiamo accettato di pagare il biglietto.

Soprattutto, quel sogno lo abbiamo vissuto insieme a voi. Non eravamo soli, non siamo soli. Abbiamo incrociato, incontrato, conosciuto delle persone meravigliose. Ed è prima di tutto a voi che va il nostro eterno ringraziamento: per l’affetto, per l’attenzione, per l’amicizia, per i consigli, per i contributi. Per le foto, i commenti, le battute, le risate. Grazie al fantastico popolo del Soviet, un esperimento sociale d’ironia e intelligenza, dal quale non abbiamo mai smesso di nutrirci per alimentare passione e ispirazione. Grazie di cuore a chi è partito con noi in questa avventura, a chi ci si è avvicinato nel tempo e a chi ci ha lasciato: siamo partiti per scherzo, nessuno di noi aveva idea di che razza di cosa pazzesca sarebbe venuta fuori. Grazie a chi ci è stato accanto, a chi ci ha aiutato. Grazie al ministro Sandro Ruotolo, prima autorevole punto di riferimento della nostra comunità, poi amico. Grazie ad Anastasio, a Jorit, a tutti coloro che hanno dato lustro a questa pagina. Chiediamo invece scusa a quanti ci chiedevano di non mollare, soprattutto tifosi non napoletani che non condivideranno una scelta apparentemente campanilistica. Troveremo un modo per restare in contatto.

Questo è il comunicato finale del Comitato Centrale, che da questo momento deve considerarsi sciolto. Sarrismo – Gioia e Rivoluzione si ferma alla stazione di Baku, al primo trofeo conquistato da Maurizio Sarri, che da oggi in poi proseguirà da solo. C’eravamo tanto amati ed è stato amore vero, vivo, da una parte e dall’altra, di quelle passioni che bruciano in una vampata. Qualcuno dirà che era tutto finto, una questione di soldi, di opportunità. Non ci credete. La verità è che è stato bellissimo e chi non lo ha provato non saprà mai che accidenti si è perso. Le passioni vanno vissute fino in fondo, premendo sull’acceleratore, altrimenti che senso ha trascinare un’esistenza? Allo stesso modo, il calcio ha bisogno di miti, di storie belle, e che si concludano come devono concludersi, chi se ne frega. Altrimenti, che senso ha vivere una passione? Sarri si è fermato, è vero, ma il Sarrismo non è morto. Resta dentro di voi. Continuate a coltivarlo. Non piegatevi al grigiore e al rancore, praticate la Gioia e la Rivoluzione. Noi ci terremo nei paraggi, prendetela pure come una minaccia. Con lo spirito di sempre.

Alessandro Montano

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