Fa un po’ tristezza vederlo così, imbacuccato col giubbotto impermeabile e seduto mestamente in panchina, senza scaldarsi neppure.
Da salvatore della patria a capitano fino a diventare un reietto, un nemico del popolo. La strana parabola di Lorenzo Insigne ha toccato forse il suo momento più basso proprio contro l’Atalanta. In campo Mertens e Milik, Insigne lascia la fascia sul braccio di Callejon e si accomoda in panchina, dalla quale non si alzerò neppure. A riposo, forzato. Carlo Ancelotti ha detto che ha giocato 3 partite e voleva preservarlo, ma ora bisognerebbe capire preservarlo da cosa, visto che è rimasto solo il campionato e non ci si gioca più così tanto. La verità, o meglio l’impressione che traspare dalle azioni e dalle reazioni, è che paga Lorenzo, e paga per tutti e per tutto. Per lo sfogo dopo la Juve, per l’improvvida intervista al Corriere dello Sport, poi smentita, per la pessima doppia prestazione con l’Arsenal e soprattutto per quella reazione scomposta dopo la sostituzione contro i Gunners.
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Insigne, un film già visto con Cannavaro
Cambiarlo così, dopo un’ora di una partita davvero brutta e non certo per colpa sua, ha finito per esporre Insigne all’insoddisfazione pubblica e agli inevitabili fischi. Nel nemo propheta in patria, dopo Cannavaro tocca a lui, a cui non viene perdonato nulla e che non convince il pubblico neppure dopo 300 partite e 76 reti. Anche comprensibile la reazione dopo il cambio, dopo i fischi e dopo la sfiducia di Ancelotti. Le voci di mercato si fanno insistenti e in un’ottica di rinnovamento il sacrificato potrebbe essere proprio lui, il cui idillio con Ancelotti sembra essere finito da tempo. E in questo convulso finale di stagione sembra di rivivere il caso Lavezzi, il caso Cavani, il caso Higuain. Tutti addii tormentati, tante chiacchiere e tante incomprensioni prima di una partenza che alla fine, nel caso dei predecessori, ha fatto bene a tutti. C’è modo e modo di andar via, c’è modo e modo di salutare. E dopo 300 presenze, se davvero è arrivata la fine di un ciclo, Insigne, il Napoli e Ancelotti stanno scegliendo il modo peggiore.