In under alla fine degli anni novanta strinse un forte rapporto d’amicizia con il campione del mondo Alberto Gilardino, tanto da avere, oltre al vizio del goal, anche l’esultanza molto simile a lui. Quando indossò la maglia azzurra in Serie C, ad un certo punto, si posarono su di lui anche gli occhi della blasonata Inter che, per un calciatore di ventitré anni a quei tempi, rappresentava il massimo. Stiamo parlando di Emanuele Calaiò: 3 anni e mezzo in maglia azzurra, 136 presenze con 44 goal, due promozioni (dalla c alla b e dalla b alla a), ed un esordio in carriera in Europa League (durante la seconda parentesi azzurra nel 2013).
Chi ha amato il Napoli anche nei momenti bui della rinascita dalle ceneri di un’aula di tribunale, non può che essere grato a questo giocatore che, con tanta umiltà, nel gennaio del 2005, dopo un’ottima prima parte di stagione in serie b con il Pescara, decide di scendere di categoria per trasferirsi a 22 anni in maglia azzurra. Non fu una scelta scontata quella dell’Arciere che, a quei tempi, era considerato uno degli attaccanti italiani più promettenti di tutti: colpi di tacco, giocate di sopraffino, un buon sinistro ed un colpo di testa precisissimo, facevano di Calaiò l’emblema dell’attaccante che, di lì a poco, verrà definito con l’appellativo ‘moderno’. Pierpaolo Marino lo volle a tutti i costi a Napoli, perché consapevole che con un numero 9 (o 11, dipendeva dai casi) così, in serie c si faceva la differenza tra la sconfitta e la vittoria.
L’esborso economico fu importante: circa 4 milioni in tutto che, per una squadra di serie c, rappresentavano un patrimonio enorme. Quella cifra però quell’attaccante palermitano la valse tutta: 18 presenze e 6 reti nella prima mezza stagione azzurra terminata con la promozione mancata; 19 goal in 38 partite l’anno seguente e il ruolo di capocannoniere del campionato; 16 reti poi in serie b con la consacrazione come bomber azzurro. Numeri, questi, senza i quali – probabilmente – il Napoli che oggi tanto ammiriamo non avrebbe potuto avviare mai quel processo di crescita che è arrivato ora ad un livello internazionale. Oggi, a distanza di 10 anni esatti da quel goal di testa in Serie B, contro il Lecce al San Paolo, sotto una curva da cartolina che diceva “Ti Amo”, c’è la sensazione che, quell’arciere che scoccava frecce ad ogni marcatura, in Serie A, avrebbe meritato più fiducia; ma questa è un’altra storia.
a cura di Roberto Rossi (Twitter: @RobSnowflower)
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