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La lettera a cuore aperto di Hamsik: “A Napoli, il calcio è come una religione e lo Stadio San Paolo è la sua chiesa”

Hamsik © Getty Images

Marek Hamsik si è affidato a ‘The Players’ Tribune’ per spiegare la sua vita, le sue sensazioni e le sue emozioni dopo 10 anni a Napoli. Una lettera quella scritta dal capitano per descrivere la passione del popolo partenopeo ma anche per dire ‘grazie’ a chi lo ha ben accolto in questi anni napoletani.

A Napoli, non abbiamo un solo allenatore. Ne abbiamo tre milioni. Ogni uomo, donna e bambino sa cos’è meglio per il Napoli. Ogni bimbo di quattro anni sa come potremmo segnare più gol. Ogni donna novantenne che si occupa del suo orticello ti sa dire come e perché’ dobbiamo cambiare la formazione in campo. Quel sentimento, quella passione, è nel loro sangue. A Napoli, il calcio è come una religione e lo Stadio San Paolo è la sua chiesa. Il Napoli è l’unica società calcistica della zona e i napoletani se ne sentono parte – perché’ lo sono. Il calcio è ciò a cui pensano quando si svegliano, quello di cui parlano tutto il giorno, è quello che sognano di notte. Spesso si ha l’impressione che il calcio sia l’unica cosa che conta. Io ci sono abituato. Il calcio è la mia vita da ventinove anni. Perciò, quelle sensazioni che scorrono nelle vene dei napoletani, beh, scorrono anche nel mio sangue. Le ho da quando in Slovacchia a sette anni ho guardato due brasiliani correre come dei matti in California.”

I ricordi di Hamsik

 

Hamsik ha poi parlato nello specifico della sua avventura azzurra, riavvolgendo il nastro di una carriera stupenda: “Il mio primo giorno a Napoli cominciò insieme ad Ezequiel Lavezzi. I funzionari della squadra ci portarono a vedere lo stadio e ci presentarono alla stampa. Dalle prime ore avevo capito che lo Stadio San Paolo era diverso da qualsiasi altro posto del mio passato e futuro. Quando cominciai la ricerca della prima casa in città mi sono accorto che tutte le persone che incontravo conoscevano il mio nome e la mia storia. Ero incredulo. L’affetto che avevo sentito a Brescia era poca cosa in confronto alla passione dei tifosi napoletani. Tifoso napoletano è ridondante. Se sei di Napoli sei un tifoso napoletano. Quando abbiamo vinto la Coppa Italia nel 2012, ho capito che cosa era veramente Napoli. La città non aveva vinto un trofeo da venticinque anni e dopo la nostra vittoria a Roma ho visto una nuova Napoli. Sembrava una città impazzita. Credo di poterla descrivere come una follia bellissima, la migliore delle pazzie. Al nostro ritorno da Roma c’erano folle che si riversavano sulle strade dagli appartamenti, bandiere sventolanti da tutte le finestre: era magico. Quando vinci a Napoli, è la vittoria più bella del mondo perché’ non sono solo i giocatori a vincere, ma è la città e la sua gente che vince. E’ questo che la rende speciale. Il calcio è importante per me e aver giocato per il Napoli per dieci anni è stato l’onore più grande della mia vita ma la ragione per cui sono rimasto a Napoli va oltre il calcio. A Napoli mi sento parte di una comunità, di una famiglia che ha un posto speciale nel mio cuore. Nella vita ho bisogno non solo di uno stipendio e di trofei, ho anche bisogno di sentire profondamente nella mia anima. Napoli mi ha dato questo ed io le sarò grato in eterno.

Grazie”.

Claudio Cafarelli

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Claudio Cafarelli

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