Un Dries Mertens quasi inedito quello uscito fuori da una lunga e curiosa intervista ai microfoni bleacherreport.com. Il folletto belga dopo aver rispedito al mittente il paragone con Maradona si è soffermato sulla fama da calciatore: “Odio quando i giornalisti mi paragonano a Maradona. Era qualcosa di speciale, sai? Ho lavorato molto bene, sono orgoglioso di quanto fatto finora ma c’è ancora tanto da fare. Sai un cane ti ama per quello che sei, non sanno se sei un calciatore o no – prosegue Mertens – A volte la gente ti tratta bene perché sei un calciatore o perché sei famoso, ma un cane non sa di esserlo. Quindi forse questo è ciò che mi piace molto di loro. Vorrei essere un cane di strada. Un mix di tutto.”
LA VITA A NAPOLI – Mertens ha quindi proseguito esaltando vita, popolo e abitudini partenopee: “Non ho mai visto tanto entusiasmo come qui. Forse in Argentina quando vedi Boca-River puoi vedere gente che è pazza per il calcio. Ma qui tutti mangiano, dormono e vivono per il calcio. Dove vivo c’è una signora anziana, avrà 85 forse 90 anni. Questa mattina l’ho incontrata e mi ha detto: “Oh quanto mi è piaciuto come hai giocato e come mi è piaciuta la tua esultanza. Lì ho pensato “Cavoli anche lei mi ha guardato” è tutto folle, è qualcosa che sicuramente ti mancherà quando andrai via”.
Mertens e la vita napoletana
Mertens ha quindi ribadito: “Mi piace vivere come una persona del luogo. Quando sei altrove devi provare ad adattarti al posto e alla loro cultura. La gente mi fa stare bene qui quindi cerco di vivere come loro. I napoletani sono sempre in giro, non passano il tempo davanti alla tv. Quando ho vissuto in Olanda passavo la maggior parte del tempo davanti alla tv, guardando Netflix. Mangiavi alle 6/7 e alle 8 finivi e poi andavi a riposarti. Questo è quello che si faceva in Olanda. Invece qui quando finisci l’allenamento verso le 6/7, vado a casa alle 7,30, mi preparo ed esco per mangiare o resto a casa. Si finisce sempre verso le 11/11,30 perché stare a tavola è il momento più importante di tutti. Dopo cena vado a letto o leggo un libro. Qui è diverso, non so, mi piace di più vivere in questo modo”.
Cresciuto in strada
Il numero 14 di casa Napoli ha inoltre ripercorso alcune tappe della sua infanzia: “Non ho mai avuto idoli calcistici perché da bambino ero sempre fuori. A casa dei miei genitori la televisione non era mai accesa. Forse per la Coppa del Mondo, o qualcosa di simile. Ma anche in quei momenti era più piacevole giocare fuori perché con due fratelli più grandi avevo voglia di stare con loro e giocare all’aperto. Mio padre ha costruito un campo accanto casa nostra per permetterci di giocare”.
Maturità
Mertens dispensa inoltre consigli dimostrando una grandissima maturità: “Vorrei provare ad insegnare alle persone di credere sempre nei propri mezzi. A 18 anni stavo giocando con i miei compagni di squadra e loro erano più forti di me, avevano più talento. Ma ho sempre pensato che fossero troppo orgogliosi per fare un passo indietro. A volte si preferisce rimanere all’Anderlecht e sedersi in panchina per due o tre anni e pensare, ‘posso dire di aver giocato per l’Anderlecht, non ho intenzione di andare in seconda divisione.’ Ma a volte fare un passo indietro, giocare più partite ed essere importante per un’altra squadra può indicare che tu sei in grado di poter crescere, di poter fare quel passo in avanti necessario. Restare fermo è troppo facile, bisogna rischiare. Giocavamo sempre cinque contro cinque da piccoli quindi probabilmente il senso del gol e la capacità di girarmi e tirare subito è venuta da lì. So perché la gente mi chiama falso nueve perché non sono un giocatore grosso che tiene palla e che fa quello che ci si aspetta da un attaccante. Ma il calcio è cambiato e anche il modo di giocare cambia. Penso che con i gol segnati si possa cancellare la parola falso e tenere solo il nove”.
Infine il belga ha speso due parole anche sull’ex compagno Higuain: “Con Higuain siamo amici, si è congratulato con me per quello che sto facendo. Lui è nato per fare l’attaccante, come Michael Owen. Si sveglia la mattina e tutto ciò che vede è il gol. Si sente un numero 9 dentro, per me la numero 9 o la numero 14 è lo stesso. Prima dicevo sempre che un assist era soddisfacente quanto un gol. Ma ora nel ruolo di attaccante vedo la differenza. Se non segni la gente ti dirà che hai giocato male, se segni, anche se hai giocato male, dirà che sei bravo. Questo è il modo che la gente ha di vedere l’attaccante, per questo è importante fare gol. Per questo da ora dico sempre che è più importante fare gol”.