Lo ammetto, alla notizia degli anticipi e posticipi mi sono lasciato andare ad un’illogica frenesia mista a una sana voglia di “vendetta”. Sportiva, certo (…). La testa era già li, nell’ideale spazio-tempo che intercorrerà tra il 2 ed il 5 aprile. 72 ore di “odio” viscerale che scivolerà tra social e campo, in quei 180′ che molto più della suggestione Real varranno una stagione. Due serate in cui balleranno una finale di Coppetta nazionale ma soprattutto lo slancio decisivo alla volata Champions diretta. Oltre all’orgoglio, naturalmente. Una maledetta partita che sfugge a qualsiasi controllo emotivo, un duello infinito che si autoalimenta di veleno: attaccanti che tradiscono e clausole ambigue, arbitri sponsorizzati e rigori ad orologeria, tweet con firma in calce e striscioni anonimi a lettere maiuscole.
Tuttavia, la mia attenzione è stata rapita da un messaggio di un amico che con il karma delle grandi occasioni mi ricordava quanto Empoli fosse un tabù. E mi esortava, con altrettanta sicurezza, a dare un’occhiata alle statistiche. Sprazzi di memoria mi suggerivano che nel vangelo secondo Opta avrei trovato pessime sorprese. Una in particolare, semplice quanto disarmante: Signore e Signori, il Napoli non ha mai vinto ad Empoli. E non parliamo della gestione De Laurentiis, ma nell’intera storia del club. Sai com’è, il 1926 non è proprio l’altro ieri. Batoste mica da ridere: si va da un 5-0 nel ’98 in serie A nella stagione dell’ultimo posto e della retrocessione, al recente 4-2 nel 2015 che segnò il declino nella corsa Champions; 16 goal incassati dagli azzurri con la porta avversaria bucata appena 5 volte. Insomma, numeri da gocce di sudore ghiacciato. Altro che tabù del Castellani, qui si giocherà contro il destino.
Passato lo scoramento iniziale, sono sopraggiunti dubbi e incertezze: con precedenti del genere il prossimo impegno non potrà essere affrontato come un allenamento (Crotone lo è stato? No). Sarri conoscerà pure a perfezione l’ambiente ma nessuno vorrà concedergli particolari onori, da quelle parti è ormai un avversario come gli altri. Ci sarà da stare in campana, poiché sottovalutare l’impegno potrebbe rendere vana sia l’impresa dell’Olimpico – passata quasi sotto traccia solo a causa dell’invasione Blancos – sia l’eventuale orgasmo del 2 aprile. I toscani, poi, ad un passo dal burrone retrocessione, non si possono definire esattamente come quelli che da qui alla fine potranno campare di rendita. Il pericolo maggiore, inoltre, sarebbe quello di arrivare alla sosta senza i di tre punti e la quiete nel cervello. Agli azzurri gli stop non hanno mai giovato più di tanto, anche se le tossine accumulate in quest’ultimo mese sono effettivamente roba da ko tecnico, da ricovero in centro benessere a tempo indeterminato.
Lo so, l’ho fatta un po’ pesante. Ma Pescara, Palermo, Genoa, Sassuolo non sono mie paranoie. In realtà pronti-via non c’è partita, troppo ampio il divario tecnico tra le squadre e troppo importanti i diversi obiettivi: impensabile lasciare altri punti alla Roma ed essere risucchiati nella scia di Lazio e Inter che inseguono assetate di introiti europei. A conti fatti, solo un secondo posto e (magari) la finale di Tim Cup potrebbero dare un senso compiuto alla stagione. In caso contrario, tanti complimenti, qualche pacca sulla spalla e nulla più. Della serie belli ma perdenti. Facciamo cosi: della Juve meglio parlarne tra qualche giorno. Giusto il tempo di riscrivere la storia.
di Marcello Mastice (Twitter @marcellomastice)