Solo da qualche ora sono riemerso da fiumi di hashtag e menzioni, virgolettati e fermi immagine. La rabbia c’è ancora, come in tutti voi, del resto. Ma sto provando a respirare aria buona. Ossigeno che riporta calma e lucidità. Si schiariscono le idee, ma i pensieri si rifiutano di tornare sui rigori, su Valeri e sullo show di quei genialoidi di Rai Sport. Basta.
Già, perché ciò che è stato ormai è andato, perché Aprile e la voglia di rivincita sono ancora lontani. Perché l’unica rogna a stretto giro si chiama Roma. Altro scontro diretto col destino sul doppio binario: rilancio verso i -5 punti che separano gli azzurri dalla Champions diretta. Sull’altra direzione c’è da difendersi da chi (milanesi su tutti) pagherebbe di tasca propria anche solo per il sogno di un preliminare di mezza estate. Brutta storia, se pensiamo che prima dell’uragano Caldara si accarezzavano ancora residue speranze di primato.
Subito prima che mi torni lo sconforto per il ricordo degli svarioni tattici dello Stadium – solo in parte oscurati dalla scelleratezza di Valeri – l’espressione glaciale e la smania di spaccare il mondo di Marko Rog prendono il sopravvento. Non sapremo mai se l’idea di Sarri di buttarlo nella mischia proprio contro la Juve fosse già pianificata da tempo, sta di fatto che il croato ha coraggio e gamba, duttilità in entrambe le fasi ed una personalità visibile ad occhio nudo. Oltre a piedi che lo tengono lontano da paragoni superficiali con chi conduce una banale vita da mediano.
Ma allora perché il ragazzo è stato tenuto in naftalina per più di metà stagione? La risposta più comoda è quella che conosciamo: Rog aveva bisogno di assimilare il credo del tecnico. “Tiene troppo il pallone“, blaterava qualcuno. Non vi piacerà, ma con sincerità sono convinto che il vero motivo abbia un nome e una cresta: Marek. Nel gioco delle coppie di centrocampo, infatti, più che ad Allan, il croato appare la vera alternativa al capitano. Il quale resta intoccabile, innanzitutto per quella classe innata, ribadita per 110 volte; nonché per il legame con maglia, tifosi e città. Vi piacerà ancora meno continuare a leggere ciò che segue, ma credo che non sia mai utile nascondere la polvere sotto al tappeto: Hamsik scompare nei momenti più importanti. Lo dicono la cronaca, i tabellini, le statistiche. Non sappiamo se per congenita carenza di un certo tipo di personalità. O magari perché, più semplicemente, contro squadre superiori finisce per essere sempre annullato da avversari più forti. Proprio quando ci sarebbe da tirare fuori cattiveria agonistica, tenacia e attributi, elementi essenziali per un calciatore moderno. Proprio quelli intravisti negli occhi – e nelle gambe – di Marko Rog.
di Marcello Mastice (Twitter @marcellomastice)