A quanto sembra gli stracci sarebbero già volati dopo il pareggio col Palermo. Tipo che Sarri avrebbe minacciato di togliersi la tuta da supereroe e sbaraccare. Ne sentiremo altre. Da qui a quando qualcuno tornerà a parlare le ricostruzioni si sprecheranno. Figuriamoci, manna dal cielo per chi va a caccia del retroscena intrigante. Quello raccolto dalle solite “fonti vicine e beneinformate”.
Personalmente invece preferisco concentrarmi sui fatti. E c’è uno stralcio della sbroccata di Adl che continua a darmi il tormento. “Non credo che ci sia questa grossa differenza di qualità perché i giocatori del Real hanno stipendi assurdi e impensabili“. Ecco, credo che il vero rospo da sputare fosse proprio questo. Un rigurgito che Adl aveva pronto da tempo. Le cronache infatti ci raccontano che questo tipo di uscite rappresentano il pezzo forte del cineproduttore nei momenti in cui percepisce nell’aria l’odore di tradimento. Lo so che in questo momento starete pensando a Mazzarri che flirtava con l’Inter e soprattutto alla notizia del presunto incontro tra Sarri e l’entourage dei non-colorati. Sbagliato. Resto convinto che il vero tradimento iniziò davanti ai microfoni nel post Juve-Napoli, addì 30 ottobre 2016: “Non si può pensare di essere l’anti-Juve senza il centravanti più forte del mondo e comprando 20enni quando già l’anno scorso siamo finiti con un distacco, anche se c’è da dire che i giovani crescono, stiamo vedendo Zielinski e Diawara, raccogliamo i frutti, ma un 19enne non può subito diventare Marchisio in così poco tempo“.
Un tradimento, questo, rispetto a ciò che rappresenta la vera mission aziendale: comprare, valorizzare e rivalutare giovani di talento. Con l’arte di una mano sapiente che sposi in pieno la filosofia di fondo senza lamentarsi. Che produca campioni a basso costo. Salvo poi ricavarne plusvalenze d’oro ancor prima di dargli il tempo di diventare eroi. Per poi ricominciare daccapo, confidando che l’oroscopo sia favorevole per tutta un’intera stagione e che la sfiga si impadronisca delle sorti degli avversari. Ovvero, per tornare al passaggio di cui sopra, come ridurre ad una mera differenza aritmetica i centinaia di milioni di monte ingaggi tra gli azzurri e un Real qualsiasi.
Da qui il dilemma che divide le masse, che spacca i cosiddetti “papponisti” della prima ora e gli atavici ottimisti di Gela e Lanciano: è possibile costruire cicli vincenti prescindendo da campioni già affermati, da chi ha già capito come si fa a vincere, da gente che sul curriculum non abbia solo buoni propositi, ottimo inglese e conoscenza del pacchetto Office? Ed ancora: è accettabile che la dignità agonistica del popolo partenopeo, che di questo club è la fonte primaria dei profitti, venga addirittura sacrificata sull’altare della sconfitta per perseguire logiche di mercato (“preferisco perdere ma far fruttare i miei investimenti“) ?
Eppure sarebbe bastato poco per evitare tutto ciò. Per farsi amare dai tifosi dal primo momento, da quella firma al tribunale fallimentare fino all’apice massimo di Madrid. Va bene che ormai il calcio è solo un business, ma farlo presente a chi ti segue ogni volta che ce n’è l’occasione non è esattamente il massimo della vita. I tifosi non lo sopportano, è un concetto che va contro l’essenza stessa della competizione, che è il perseguimento della vittoria. Anche se solo di facciata. Perché ai napoletani magari sta bene anche passare per fessi. Ma perlomeno contenti.
di Marcello Mastice (Twitter @marcellomastice)