PAQUIPEDIA – Dries Mertens, il napoletano di Lovanio

Dries Mertens attaccante Napoli
Dries Mertens © Getty Images

«Nome?»
«Dries».
«Cognome?»
«Mertens».
«Nato il?»
«Sei maggio millenovecentottantasette».
«A?»
«Lovanio».
«E dove sta questo posto?»
«A pochi chilometri da Bruxelles».
«Nazionalità?»
«Napoletana».
«Giovanotto, non mi prenda per i fondelli» disse il poliziotto agitando il passaporto di quel ragazzo piccolo e minuto, con la barba incolta e un ciuffo che gli regalava l’illusione di superare il metro e settanta.
«Ha capito bene, brigadiere» riprese il ragazzo, «ormai sono a tutti gli effetti di nazionalità napoletana. Ne faccia una questione di attaccamento alla maglia, di gratitudine verso la società oppure, semplicemente, di affetto».
«Continuo a non capire».
Il ragazzo parlò di quel pomeriggio in cui sbarcò a Napoli, voluto fortemente da un allenatore che desiderava internazionalizzare la squadra e che chiedeva a lui di disorientare gli avversari, servire assist alla prima punta e realizzare qualche gol che lasciasse senza fiato i tifosi del Napoli. Una città della quale gli avevano parlato: bene, i puristi e gli amanti della cultura e del buon cibo; male, quelli che avanzano qualche credito da precedenti gestioni societarie o quelli che gli suggerivano di mostrare altrove il proprio talento, e non in quella piazza che di ambizioso aveva ben poco.
«Ho scelto, brigadiere» continuò con gli occhi lucidi, «seguendo prima il cuore e poi la logica. E ho scelto una città in cui, pure nel cuore della notte, puoi trovare un lembo di terra che t’incanti. Un posto in cui diventi uno di loro non appena hai imparato a declinare un avverbio, oppure a pronunciare una parola omettendo l’ultima vocale. Diventi parte di una città ed essa comincia a farsi spazio sotto pelle, come un dolcissimo tarlo che ti scava dentro e lascia belle sensazioni a ogni respiro».
«Un calciatore innamorato di una città?» chiese provocatoriamente l’agente in divisa, «E chi ci crede più a questa storia».
«Libero di non farlo» rispose prontamente, «eppure non sono in grado d’immaginarmi in un altro posto che non sia questo. Dover fare a meno del sole, del mare, di un pubblico che ti fa sentire amato pure quando stecchi una partita».
«A proposito, quale è il suo ruolo?»
«Mezz’ala. Anzi no, punta esterna. Ma pure trequartista e centravanti d’emergenza».
«Lei? Con quel fisico?»
«Falso nueve. Oggi li chiamano così quelli come me che, piazzati al centro dell’area, hanno il compito di disorientare i difensori avversari e cercare la conclusione in tutti i modi possibili. Di potenza, con la tecnica, perfino coi colpi di testa».
«Adesso non esageri».
«Non scherzo. Gliel’assicuro. Quando si ha questo fisico» disse indicandosi, «e questa maglietta addosso si pensa sempre a quello lì. A quello in grado di cambiare una partita in qualsiasi momento».
«Mi sta dicendo che vuol paragonarsi a Lui in persona?»
«Jamais. Dico solo che vivo le partite col suo stesso entusiasmo. In fondo abbiamo due cose in comune».
«Una è l’altezza. E l’altra?»
«Siamo di nazionalità napoletana».

 

 

A cura di Paquito Catanzaro (Tweet: @Pizzaballa81)

 

 

 

 

 

 

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