Agli azzurri piace vincere facile. O perlomeno fino al minuto ottantanove, quando il brivido di una possibile rimonta dei calabresi ha percorso la schiena dei mille dello Scida e di tutti quelli incollati alla tv. Tutti gli occhi su Reina e compagni, con l’incubo di una clamorosa rimonta dei calabresi che avrebbe aperto una crisi disastrosa. Detto questo, mai in discussione la superiorità dei partenopei, probabilmente scesi in campo consapevoli che gli unici pericoli potevano arrivare solo dalla testa. Quella persa negli sciagurati errori di Champions. Stavolta i nervi sono rimasti saldi fino al fischio finale e i tre punti della trasferta calabrese rilanciano il Napoli dopo le due sconfitte contro Atalanta e Roma.
Sarri rimescolava il centrocampo scegliendo il metallo pesante ed ecco Diawara fare subito la parte di uno che in Serie A sembra avere già centinaia di presenze nonostante i 19 anni. Ed è proprio al guineano che dovrebbero essere dedicati i titoli di giornata: nell’esordio dal primo minuto le qualità del centrocampista già ampiamente apprezzate a Bologna non sono una novità, la vera notizia è che la fiducia incondizionata nei sedicenti titolarissimi è ormai scaduta. Spazio dunque a chi garantisce tenuta fisica e sopratutto mentale. A chi non concede regali anche quando non c’è nulla da festeggiare. E a chi non deve smarcarsi dai propri demoni ancor prima che dagli avversari: quel calcione rifilato da Gabbiadini è evidentemente il segno di un disagio ormai insostenibile, l’esplosione della frustazione di un ragazzo finito nel posto sbagliato al momento sbagliato. E nello schema sbagliato, sopratutto. Un Manolo inedito che quasi sicuramente verrà fermato per due giornate e che paradossalmente toglie lo stesso Sarri da una situazione imbarazzante: spazio ora al tridente Insigne-Mertens- Callejon e tanti saluti alla querelle del sostituto di Milik e delle mille teorie della posizione in campo del malinconico attaccante bergamasco. Tutto rimandato a gennaio e a un’altra punta , di ruolo stavolta.
Restano da risolvere i casi Insigne, sempre più condizionato dalle ossessioni contrattuali dei suoi procuratori. E dell’eterno equivoco tattico di Hamsik, per il quale la fascia di capitano non può essere un perenne antidoto alla panchina. Intanto, le certezze si chiamano Mertens, sempre più trascinatore e elemento imprescindibile, e quel Maksimovic che sta iniziando a dimostrare che quei 25 milioni dopo 18 mesi di attesa sono stati spesi bene.
Una gara in cui gli azzurri hanno ottimizzato al meglio le occasioni prodotte, restando quasi sempre alti e compatti nelle linee, questa volta non disdegnando anche soluzioni di gioco poco nobili ma efficaci, palloni in tribuna compresi. Insomma, una di quelle prestazioni adatte a quel tipo di campi, di stadi, di ambienti. Quelle vittorie sporche ma incredibilmente utili a mantenere il passo. Resta l’amarezza della solita disattenzione da cui scaturisce l’1-2, sintomo che le scorie di una condizione psicofisica poco felice non sono completamente smaltite, motivo per cui i segnali di ripresa dovranno essere verificati contro l’Empoli e sopratutto sabato prossimo nella supersfida contro la capolista. Una gara che, inutile nasconderlo, inevitabilmente condizionerà il futuro dei partenopei e del campionato stesso: il ruolo di anti-Juve per lo scudetto passa per il sabato sera di Torino. La prima resa dei conti.
Di Marcello Mastice
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