Hanno fatto pure il mio nome, giuro. Prima lo hanno pronunciato per intero, Miguel Pérez Cuesta, poi, per praticità, hanno detto «E se ricontattassimo Michu?». Dubitate di quello che dico? Miscredenti!
Tuttavia, vi concedo un minimo di scetticismo. In fondo pure io sono rimasto stupito nel momento in cui, nel tentativo di metter fine alla penuria di gol che attanaglia il Napoli, in società si sono chiesti se non era il caso di ingaggiare me. Proprio quel calciatore che, nella sua breve avventura azzurra, ha dimostrato grandi doti di adattamento.
Cosa? Quando l’ho dimostrata? Avete mai visto, voi, una partita del Napoli da bordo campo, poi dalla tribuna, poi da casa e pure dalla fredda stanza di una costosa clinica? Io sì, e ho volutamente omesso le numerose occasioni in cui le sopraccitate partite le ho ammirate dalla tavola imbandita di qualche ristorante di lusso. Non criticate i miei costumi, ho sostenuto ugualmente la squadra ed ho pure brindato a fine gara per un qualche successo della squadra di Benitez.
Ma certo, proprio quell’allenatore ispanico con cui sono stati vinti gli due trofei: una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, mica roba da poco. Ovviamente, si evidenzi che la Supercoppa Italiana l’ho vinta anch’io. Controllate su Wikipedia se non mi credete. Incerottato, è vero, e disteso sul divano, tuttavia impegnato a sostenere, con grande entusiasmo, il Pipita Higuain affinché segnasse pure senza l’ausilio di un mio assist e a chiedere a Rafael di parare i rigori dei calciatori della Juventus, alla stessa maniera con cui parava i miei in allenamento. Nemmeno immaginate quante volte sia successo. Che Rafael parasse un mio rigore, non che vincessimo la Supercoppa Italiana. Quello è successo due volte, e una di queste c’ero anch’io.
Io, Miguel Pérez Cuesta detto Michu che, cautamente, ho provato a far breccia nel cuore dei tifosi azzurri: mister Benitez mi diceva di non preoccuparmi. Dovevo allenarmi, comprendere gli schemi, fraternizzare coi compagni, apprendere la lingua italiana, stare attento a non farmi male e assicurarmi che il bonifico del presidente arrivasse il 27 di ogni mese.
E io, con professionalità, mi sono attenuto ai dettami di quell’allenatore che ricorda Don Chisciotte, o forse Sancho Panza. Mi allenavo, quando non ero infortunato, facevo amicizia coi compagni, ma solo quando mi recavo a Castelvolturno per i sopraccitati allenamenti e imparavo la lingua italiana. «È arrivato un bonifico a mio favore» è stata la frase che ho imparato in fretta. Una frase da ripetere ogni mese, grazie alla puntualità degli uffici amministrativi azzurri. Quelli all’interno dei quali si discute dell’eventualità di un mio ingaggio, per non far patire i tifosi azzurri, orfani di un goleador di razza. Che potrei essere io se, al pari dei bonifici, non fossero puntuali le mie ricadute.
Ma cosa posso farci se i terreni italiani non sono come quelli spagnoli? Non ritenetemi colpevole se le mie caviglie mal reagiscono agli interventi in scivolata degli irruenti terzini italiani. Io sono un calciatore tecnico, che non concede punti di riferimento. Una mina che vaga nell’area di rigore con passo felpato e discrezione. Così tanta da passare inosservato ai più per un’intera stagione. Ma poco importa. Hanno fatto il mio nome per sostituire Milik, polacco dai muscoli fragili, proprio come i miei. Io, Miguel Pérez Cuesta, ma voi chiamatemi pure Michu.
a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
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