É un Aurelio De Laurentiis a tutto tondo quello che parla direttamente dalle colonne di La Repubblica. Tra il Napoli e Napoli, la città, la realtà che da dodici anni, o anche più, lo accompagna e ne accompagna le gesta, tra cinema, calcio e vita. Tanti gli argomenti, si parte proprio dal calcio, lo strumento con cui ADL, nel 2004, ha saputo farsi conoscere dal grande pubblico.
CHI SI FERMA É PERDUTO – Ricordare da dove si é partiti é giusto, ma forse ora Napoli chiede qualcosa in più. “Non mi accontento mica di quanto fatto fino ad ora, per me è tutto un work in progress: sempre. Lo sa qual è il mio motto? Chi si ferma è perduto. É il mio stile di vita. Intorno a me, fin da bambino, ho sentito ripetere la stessa frase: “chi me lo fa fare…”. Qualche volta lo diceva anche mio padre. La realtà di Napoli è difficile e la tentazione di farsi i fatti propri è forte: lo capisco, non dico mica di no…” Eppure la scelta di prendere quel Napoli sull’orlo del fallimento fu una decisione precisa, un cambiamento della rotta della vita dell’attuale presidente azzurro. “Fu una scelta di vita, ero sul punto di trasferire tutti i miei affari negli Stati Uniti, in quella estate del 2004… Non bisogna mai accontentarsi: bisogna puntare sempre più in alto, ai traguardi più ambiziosi. Allo stesso tempo, però, guai a dare per scontato o sminuire un secondo posto. Ricordiamoci sempre da dove siamo partiti: in serie C. Il nostro Napoli, a settembre, giocherà la Champions”
NAPOLI, TRA STADIO E CITTÀ – La questione San Paolo tiene banco da sempre a Napoli, e neppure uno deciso e risolutivo come De Laurentiis é riuscito a darle una soluzione. “Mai avuto problemi, con Luigi de Magistris. Il mio rapporto con lui è sempre stato franco e collaborativo, durante i nostri incontri. I problemi nascono dopo, quando si spegne la luce del sindaco e entrano in gioco altri fattori. Volevo fare a mio spese e in 40 giorni, lavorando anche di notte, gli interventi più urgenti per il San Paolo. La burocrazia ha fermato tutto”. In questi dodici anni di presidenza, però, anche Napoli città é cambiata tanto, proprio come la squadra. “La città è stata martoriata dalla munnezza, dalla tragedia della Terra dei Fuochi e dai cantieri sorti un po’ dappertutto. Sono stati anni molto difficili, ma questo non ci autorizza a buttare la spugna e tantomeno a piangerci addosso. Penso spesso che ci vorrebbe un Comitato per la città: vi dovrebbero prendere parte il popolo, gli industriali, i politici, gli intellettuali, la Sovrintendenza e anche noi del Napoli. Ognuno per la sua parte. Forse per il primo mese ci si accapiglierebbe. Ma un po’ alla volta, con il buonsenso, il Comitato potrebbe tirare fuori sei o sette priorità di interesse comune: che siano importanti per tutti e facciano il bene della città. Nel nome della programmazione, che a Napoli manca. Ne affiderei l’organizzazione al sindaco e al presidente della Regione: potrebbero essere loro, senza litigare e con l’aiuto di Palazzo Chigi, a mettere in piedi questo network delle buone intenzioni: io sono prontissimo ad aderire”.