Una chiacchierata davanti al golfo di Napoli nel più classico dei pomeriggi di inizio estate. Aria calda che ti avvolge, qualche nuvola di troppo, il mare pronto ad accompagnarti sempre, come fosse il sottofondo di una scena teatrale.
Lui, però, in scena ci va davvero. Federico Buffa, 57 anni da Milano, stimato ed apprezzato giornalista sportivo da tutta Italia, s’è reinventato ‘attore’ per poter parlare di sport come ha sempre fatto. Si, ma stavolta a teatro, davanti ad un pubblico di giovani o meno giovani che ora non vogliono più sentire storie di basket o di Mondiali di calcio, ma si lasciano avvolgere da una cultura sportiva troppo dimenticata, troppo trasandata.
“Non chiamatemi attore, però” ci risponde Federico. La redazione di Napolicalciolive era presente al San Carlo dove Buffa è arrivato col suo spettacolo “Le Olimpiadi del 1936” e ha potuto fargli qualche domanda.
Federico, perché proprio le Olimpiadi del ’36?
“Quando con gli organizzatori abbiamo pensato ad uno spettacolo teatrale, siamo arrivati alla conclusione che solo un evento importante come le Olimpiadi poteva essere rappresentato al meglio, per provare a rappresentarne le storie più importanti. La scelta era tra quelle del ’36 e quelle di Messico del 1968, ma lì la storia era già un tantino diversa. Quelle Olimpiadi di Berlino sono un qualcosa di più o meno irripetibile, sia per le condizioni sportive che per quelle ambientali”.
Il tuo spettacolo è oramai in giro per l’Italia da oltre un anno. Come tracceresti un primo bilancio?
“In positivo, assolutamente. Come potrei non farlo? Ho la possibilità di girare l’Italia, di essere nei teatri più belli quelli che hanno ospitato grandi talenti del nostro paese e di tutto il mondo. Alla prima al San Carlo, poi, ci saranno state mille persone; quando vedi uno spettacolo del genere con tutti che al termine dello spettacolo si alzano per applaudirti, non puoi non esserne contento”.
Un’intera settimana tra i teatri della Campania. Come ti ha accolto Napoli?
“Napoli è una città che conosco da tempo, ci sono stato già da bambino, la porto nel cuore tra i ricordi migliori. Qui ti accorgi che la gente è diversa dal resto d’Italia, che la situazione è diversa: avete una lingua che è una lingua a tutti gli effetti, come il catalano, avete un genere musicale assolutamente riconoscibile in tutto il mondo, ma, a differenza di Lisbona che ha il Fado o Buenos Aires, la città più simile a Napoli, che ha il tango, qui avete anche un genere teatrale assolutamente riconoscibile da tutti. Non c’è bisogno neanche di spiegarlo”.
Una cultura teatrale che quindi aiuta anche te durante lo spettacolo…
“Sono stato a Napoli la prima volta più o meno quarant’anni fa. Mio padre mi portò a vedere un vecchio spettacolo dell’epoca a teatro e io ne rimasi sinceramente affascinato. Dopo lo spettacolo chiesi spiegazioni a mio padre che però seppe darmi una sola risposta: ‘Federì, è Napoli’, e quella risposta l’ho capita poi molti anni dopo. Quando sei qui vieni trattato da tutti con rispetto, ma anche con educazione. C’è un modo diverso di rapportarsi all’altro che poi si scorge benissimo a teatro”.
Oltre che di cultura teatrale , però, questa città vive di sport. Perché logisticamente ci sono ancora oggi così tant’è difficoltà per lo sport napoletano e nazionale?
“Il problema non è della città, ma del Paese. Tutta l’Italia è riversata in questo grande ostacolo che non ci permette di crescere. È un fatto prettamente di cultura, anche qui. Lo sport in Italia non è stato garantito nel testo costituzionale dai nostri padri costituenti, si è creato un sistema per cui la scuola, l’educazione e lo sport sono sue due binari differenti.
Abbiamo avuto grandi atleti, ma quasi mai abbiamo saputo onorarli, omaggiarli. Alle Olimpiadi nel 1936, per esempio, il nostro paese ha avuto la prima grande donna medagliata italiana, Ondina Valla; in America per quella storia lì ci avrebbero già fatto un film, qui nessuno se la ricorda. Ma non è solo questione di soldi o investimenti, è proprio un fatto di cultura”.
Sono passati ottant’anni da quelle Olimpiadi tedesche e siamo all’alba di una nuova Olimpiade in Brasile. Perché per un atleta la partecipazione olimpica è sempre un evento sentitissimo?
“Ti faccio una domanda: qual è l’ultimo medagliato olimpico che ha avuto Napoli? Clemente Russo. Bene, quante volto nel corso di un anno non olimpico sentite parlare di lui? Poche. E stiamo parlando di un pugile, di una disciplina tra le più famose al mondo. Essere alle Olimpiadi, raggiungere una medaglia può essere per un atleta il modo per mettersi sulla mappa, per far parlare si sé, della sua federazione e per raggiungere l’obiettivo sportivo più importante che esista”.
a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)