Se ancora non credete che nello sport per vincere ci sia bisogno di una squadra intera, la lezione (l’ennesima) vi arriva dritta dritta dall’altra parte dell’oceano.
Sono cominciate nella notte italiana tra giovedì e venerdì, infatti, negli Stati Uniti, le Finali NBA, una serie al meglio di sette partite che decideranno secondo lo schema più consono quella che sarà la squadra campione per quest’anno. Da una parte i Golden State Warriors del primo migliore giocatore al mondo, Steph Curry, dall’altro i Cleveland Cavaliers del secondo migliore giocatore al mondo, LeBron James.
Insomma, in una gara nella gara che tutti si aspettano, sarebbero loro i protagonisti principali, quelli capaci di far saltare il banco e ancora una volta indirizzare la vittoria, ad Est o ad Ovest.
Capita, però, che la prima gara della serie sia in realtà un grosso insegnamento per tutti gli appassionati di sport.
Per i campioni non pare essere la serata giusta; da una parte Curry si lascia andare a troppi errori al tiro, dall’altra è LeBron il colpevole della non continuità dei suoi.
Ma Golden State riesce a trovare la soluzione giusta: se i tuoi migliori giocatori mettono insieme pochissimi punti, l’unica arma che puoi sfruttare è la capacità degli altri giocatori in squadra di essere protagonisti.
Detto, fatto. Steve Kerr, allenatore dei Warriors, manda in campo tre ‘riserve’ che faranno la differenza; Shaun Livingston, Andre Iguodala e Leandro Barbosa. La panchina di Golden State segnerà 45 punti, quella di Cleveland appena 10. Il risultato? Saranno i Warriors ad assicurarsi Gara 1 senza battere ciglio, capaci di arginare le serate negative delle loro stelle con l’aiuto degli altri.
Da qui, l’importanza della panchina, in qualsiasi sport.
Da qui, tutte le preoccupazioni di un Napoli che, sull’esempio del modello americano e secondo quanto visto nell’ultima stagione agli ordini di Sarri, ha bisogno di rimpolpare una rosa forte già negli effettivi ma tremendamente bisognosa di un rinforzo dalle retrovie.
Nell’arco di una stagione lunga e complicata come quella NBA – 82 partite di campionato, a cui aggiungere quelle eventuali dei Playoffs, almeno 16 fino alle Finals – la forza e la qualità di una panchina pronta e ben amalgamata fanno la differenza nel momento chiave.
Nulla di diverso nel calcio; il Napoli sa bene quante difficoltà sono insorte quando, al giro di boa della stagione, i titolari hanno tirato il fiato per qualche giornata, non consentendo alla squadra campione d’inverno di affermarsi anche in primavera. Nel calcio moderno non si va più in campo in tredici o quattordici elementi, ma bisogna sfruttare tutte le potenzialità di rose oramai allargate ben oltre i venti interpreti. Qualcuno diceva che bisogna arrivare vivi alla spiaggia, e potremmo anche aggiungerci che poi bisogna sapersi giocare gli obiettivi fino all’ultimo centimetro.
Mancano ancora tre mesi alla fine di una finestra di calciomercato che sembra già aver annoiato. L’obiettivo azzurro è potersi presentare al massimo ai nastri di partenza del prossimo anno, con una rosa equilibrata, pronta, capace di sopperire, inter cambiandosi, alle mancanze altrui. Nessun obiettivo da lasciare andare, una Champions da onorare al meglio ed un campionato in cui difendere la posizione conquistata.
E se ancora non credete che a vincere non siano solo i campioni, ma le squadre intere, allora non aspettate l’inizio della prossima stagione e connettetevi con l’altra parte del mondo. Tanto per capire chi ha ragione.
a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)