Da Stia al palco di Amalfi per essere premiato come allenatore dell’anno, la rivelazione assoluta delle panchine di Serie A. Tra pochi giorni Sarri sarà riconosciuto tale durante la kermesse di Football Leader grazie ai voti racimolati tra esperti del settore e giornalisti in merito al lavoro svolto alla guida del Napoli. Per il tecnico azzurro è una soddisfazione difficile da spiegare. Quanto è arrivato a Napoli la scorsa estate, infatti, ha dovuto raccogliere un’eredità piuttosto pesante, quella di Rafael Benitez. Nonostante l’ultima annata dello spagnolo avesse spaccato l’opinione del mondo sportivo, quello dell’ex Real Madrid è comunque un profilo internazionale che ha portato alla ribalta in Europa il nome del club guidato da Aurelio De Laurentiis ed aiutato a convincere Higuain, Callejon, Albiol e non solo a lasciare la cornice dorata dei blancos, per fare un esempio, e sposare la causa del Napoli, ancora in costruzione per il futuro. Non era semplice, è chiaro, poter convincere tra l’altro un gruppo di giocatori ambiziosi che un allenatore al secondo anno in Serie A con un precedente da impiegato di banca potesse guardare con assoluta parità le maggiori squadre del Vecchio Continente. Insomma, c’era più di una montagna da scalare ma forse qualcuno aveva dimenticato che limiti alla provvidenza, passate il termine, non vanno messi. Maurizio Sarri non ha fatto alcun proclamo, si è limitato ad apporre la firma sul contratto e lavorare a testa bassa. Semplicità, schiettezza, coerenza: ha portato sul campo le sue qualità ed ha guardato negli occhi giocatori che di campi internazionali qualcosa ne sanno e gli ha chiaramente suggerito che ciò non fa la differenza. Le parole le porta il vento con sé, il lavoro è uguale per tutti. Vincitori e perdenti, il pallone è rotondo da Buenos Aires a Città del Capo.
Il Napoli è la diciottesima squadra da allenatore di Maurizio Sarri e la seconda in Serie A dopo l’Empoli, che lui ha trascinato in massima serie. “Ho ascoltato i suoi consigli e sono arrivato fin qui, lo devo ringraziare”, queste le parole del Pipita Higuain dall’Argentina dopo aver goduto della conquista del primato assoluto di reti nella storia della Serie A, vale a dire 36 in stagione. Fa quasi specie sentir pronunciare dichiarazioni simili da parte di un giocatore che si è messo in gioco negli anni addietro nel club più importante al mondo, appunto il Real Madrid, eppure è soltanto una delle mostre di riconoscenza che ha ricevuto Sarri da parte dei suoi. Si pensi che Callejon, in uscita la scorsa estate, è rimasto per seguire il tecnico ed ha ritrovato l’amore della piazza, con la quale le cose ad un certo punto sembravano essere cambiate.
Si può dire che dal ritiro di Dimaro Sarri abbia spogliato ogni giocatore dell’aura di convinzioni che aveva e trasferito l’idea che ogni qualità assume rilevanza soltanto se sortisce effetti sul gruppo quando si è in campo. Il tecnico ha lavorato accuratamente sulla fase difensiva ed istituito le sue personali gerarchie, che non hanno mancato di essere sottoposte alle legge della meritocrazia. Pungente, ironico, intelligente, maniaco della perfezione: la sua personalità per alcuni discutibile in un contesto altamente competitivo per l’altri rispondente alla vera essenza del calcio ha attirato su di sé l’attenzione ma anche l’accondiscendenza del gruppo. Sarri è un lavoratore, un allenatore che studia sul campo rionale così come fosse quello internazionale e viceversa con la stessa idea: il calcio è un gioco che ha dignità indipendente dal contesto in cui si esercita. La squadra è corsa ad abbracciarlo, ad eleggerlo leader del gruppo. E lo ha meritato. Non è stata facile la scalata, ma si sa, che più è ripida e più la vetta è mozzafiato.
di Sabrina Uccello (Twitter: @SabriUccello)
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