Esce dagli spogliatoi, fa un cenno ai suoi calciatori. Poi chiede loro di cominciare con qualche giro di riscaldamento, mentre si accomoda in panchina. Gesti lenti, misurati. Sistema la sciarpa al collo, pulisce gli occhiali. Poi le scarpe. Già, quelle calzature che, anni prima, divennero oggetto della sua esultanza. Arrivarono a chiamarlo Sciuscià quei tifosi che, prima dell’avvento del web, supportavano i propri beniamini con striscioni e cori da esibire tassativamente allo stadio.
Quell’agorà calcistica che, alla fine degli anni ’90, raccontava le gesta di Francesco Moriero, guizzante esterno destro con un passato in giro per l’Italia. Napoli l’ultima tappa da calciatore, per questo ragazzo dal forte accento pugliese e dalla capigliatura leonina. È nel suo Salento che muove i primi passi. Elastico tra centrocampo e attacco mentre il suo Lecce fa lo stesso tra le categorie. Un anno in B per programmare il campionato successivo in serie A e un anno a dissipare quanto di buono s’è fatto appena 365 giorni prima. Lecito, per uno come lui che ama il mare, scegliere una destinazione che profumi di salsedine. La Sardegna è dietro l’angolo, il Cagliari la squadra per mettere in risalto le doti del riccioluto numero 7 che fa impazzire più di un terzino e fa impazzire i dirigenti della Roma che lo ingaggiano. Il confronto con la grande realtà e senza infamia e senza lode. Francesco è un ragazzo che esegue il compito e non fa disperare gli allenatori. Al pari degli scolari diligenti che portano rispetto ai vecchi professori di campagna. E da vecchio, lupo questa volta, si comporta Francesco che, nell’annus domini 1997, si accorda con il Milan. Ingaggio importante, la voce “parametro zero” da scrivere nella parentesi accanto al nome alla voce acquisti e le prime idee su quale posto scegliere per mettere radici. Ma il fascino del calcio sta nel riservare sorprese pure all’ultimo istante.
Ed è così che Ciccio Moriero cambia accostamenti cromatici e passa all’Inter. Non disdice l’affitto dell’appartamento milanese che ha preso in affitto, ma comincia a pensare a percorsi alternativi per raggiungere la Pinetina. Il centro di allenamento dove, per tre anni, vedrà Ronaldo, Djorkaeff e chissà quanti altri campioni. Calciatori ai quali, simpaticamente, lustra le scarpe dopo un gol. I telecronisti impazziscono ogni volta che ripete quel gesto e lo chiamano Sciuscià per risparmiare fiato e sillabe durante una telecronaca. Abitudine che, anni dopo, rispetteranno quando Ciccio sbarcherà a Napoli. Zeman chiede un attaccante esterno e arriva lui. Che non è un attaccante esterno ma ha desiderio di riscattarsi e l’Inter ha desiderio di alleggerirsi di un ingaggio assai pesante. Zeman gli concede qualche opportunità e fa lo stesso Mondonico, prima di salutare la serie A. In B, promette, sarà assoluto protagonista. Ma non colleziona che dieci presenze e, in nessuna di queste, lucida le scarpe ai compagni. Qualcuno parlerà di carenza di desiderio, qualcun altro scomoderà Freud. Altri, più semplicemente, aggiungeranno il suo nome alla lista dei bidoni che hanno vestito la maglia azzurra. Che non passeranno alla storia se non per essere ricordati su un vecchio album dei calciatori o in qualche sito che, nostalgicamente, ne ricorderà le sventurate gesta azzurre.
a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)