Prima corre a braccia spalancate poi, avvicinando le mani, crea la forma di un cuore. Infine si piega in un inchino e comincia a sorridere. Ha mille volti la gioia e si riflette dentro gli occhi di un taciturno ragazzo spagnolo che di professione fa l’attaccante. Pardon, l’ala, perché per uno cresciuto nella Spagna di inizio anni ’90, col mito del Real Madrid e l’avvento dei primi fenomeni al Barcellona, è giusto scegliere un lessico adatto e preferire un ruolo che andrà estinguendosi ma che permetterà a José María Callejón di distinguersi tra quella massa di ragazzini che sognano di giocare a calcio tra i professionisti.
Un sogno che realizzerà poco più che adolescente quando il Real Madrid, proprio la squadra dei suoi sogni, lo inserisce nella cantera per farlo diventare un professionista. Ventuno gol nella serie B spagnola e la decisione della Casa Blanca di mandarlo a maturare in qualche realtà piccola ma ambiziosa. Ed ecco che l’Espanyol si fa sotto e comincia a valorizzare quel ragazzino gracile e non molto alto che, però, fugge come una scheggia e che una volta partito dovrai sudare sette magliette da calcio per fermarlo.
Si fa apprezzare, José María, al punto da ricevere una chiamata del suo procuratore: «Fa le valigie, José Mourinho ti vuole in prima squadra. Si torna a Madrid».
Il portoghese stravede per lui. Gli offre continuità in una realtà in cui il calciatore meno titolato vale oltre 50 milioni di euro. Lo Special One resta convinto che quel ragazzo coi capelli impomatati sia un fuoriclasse e desidera portarlo con lui nel nuovo Chelsea che, intanto, comincia a costruire sotto banco.
Ma più scaltro di lui è Rafa Benitez, allenatore nato in Spagna che approda sotto al Vesuvio per rendere il Napoli una squadra di livello internazionale. Tira fuori un elenco Don Rafael: “Un difensore centrale, un centravanti, Pepe Reina in porta e Callejón come esterno per il 4-2-3-1”. Si bussa alla porta del Real, si offre il denaro sonante della cessione di Cavani ed ecco che quel ragazzo longilineo e taciturno diventa la nuova ala destra del Napoli. Un fuoriclasse in una squadra decisa a far sentire la propria voce oltre gli italici confini.
E José Maria ripaga la fiducia del suo mentore spagnolo. Quindici gol nel primo campionato, due in meno del Pipita Hiugain, comprato col solo scopo di buttare giù le porte avversarie. Si perde il conto degli assist, dei cartellini gialli fatti beccare agli avversari e delle partite vinte grazie a qualche suo guizzo.
Lo vuole mezza Europa, ma lui resta sul lato destro del San Paolo a correre, smarcarsi e realizzare 11 gol nell’anno disastroso che si concluderà col capitombolo contro la Lazio e tanti saluti all’Europa che conta.
Si torna a parlare di Chelsea, di club inglesi e spagnoli pronti a staccare assegni per aggiungerlo alle proprie rose. Fortuna che un allenatore nato a Napoli, col suo accento non proprio partenopeo, gli dica: «Non te ne andare. Con te, Reina e Higuain vorrei rifondare il Napoli». José accetta e, dopo un’estate passata a chiedersi di chi farà la riserva, si ritrova a non lasciare mai il campo se non per qualche scampolo di gara che permetta al giovanotto di turno di mettere minuti di partita vera nelle gambe.
Non si scoraggia il cavaliere solitario. Taciturno, è vero, ma con la mente rivolta al campo. Al gesto con cui, discretamente, festeggerà un assist oppure un gol. Qualcosa per cui valga la pena accennare una corsa a braccia aperte, un cuore mimato con le mani e un sorridente inchino.
a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)