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PAQUIPEDIA – Il ‘Condor’ Massimo Agostini

 

Si chiese, più di uno, il perché di quel soprannome, “il Condor”. In molti pensarono al suo profilo importante, a quel naso aquilino piazzato in mezzo a un ovale che non avrebbe ispirato i maestri artigiani della Grecia antica e neppure quelli del Rinascimento. Tuttavia Massimo Agostini scelse di fare il calciatore, con buona pace degli esteti, e durante il suo girovagare per l’Italia fece tappa a Napoli dove, per due stagioni, indossò la prestigiosa maglia numero 9.
Quella appartenuta a Careca, Giordano e chissà quanti altri campioni ai quali Massimo da Rimini sembrò volersi ispirare per esser ricordato, un giorno, quale bomber di razza.
Voluto da Vincenzo Guerini, allenatore che ne aveva valorizzato le doti nella modesta ma ambiziosa piazza anconetana, Agostini sbarcò a Napoli forte dei suoi trascorsi al Milan, del quale ancora oggi ne hanno un pallido ricordo, alla Roma, dove non lasciò che un vago segno della sua presenza, infine al Parma che, più d’una volta, gli preferì qualche altro calciatore, relegandolo al ruolo di comprimario.
All’ombra del Vesuvio ecco che il bomber dal profilo greco tentò di ritagliarsi un ruolo da leader in un attacco orfano di Fonseca, ma forte dell’ingaggio del promettente Benny Carbone e di un sudamericano, Freddy Eusebio Rincón che, appena un anno dopo avrebbe indossato la maglia bianca del Real Madrid.
Il Condor, da scrivere rigorosamente con la lettera maiuscola per risaltarne le doti di cannoniere, s’avventava su ogni pallone, qualcuno lo afferrava, qualcuno lo mancava, qualcun altro lo vedeva finire in fondo alla rete sospinto da un’incursione di Carbone o da un calcio di punizione del brasiliano Cruz. Ma non si perdeva mai d’animo e prometteva di segnare la domenica successiva o quella dopo ancora o, perché no, nel campionato venturo.
Al termine del suo primo anno napoletano, infatti, furono 9 le sue marcature. Proprio come quel numero di maglia che gli era stato assegnato e che lui avrebbe onorato, questo prometteva, nella stagione successiva. Agli ordini di Boskov, Agostini guidò una squadra di “non più giovanissimi”, nella quale spiccavano Bordin, Pari e pure Fausto Pizzi, che tentò di migliorare il sesto posto dell’anno precedente. Fece la voce grossa con le nuove leve, chiese che il Napoli valorizzasse Imbriani e non Inzaghi, lasciato a Parma, e nei momenti di difficoltà spiegò le ali aggiungendo «Tranquilli. Ci penso io».
La cadenza era quella romagnola, la stessa che fa sorridere nei film di Gigi e Andrea. E proprio come i due comici del piccolo schermo, fece sorridere il Condor, il centravanti che non riuscì a far breccia nel cuore dei tifosi azzurri. Quattro gol appena, una salvezza raggiunta nel rush finale e la necessità di salutare Napoli per tentare la fortuna altrove.
Nell’armadietto lasciò i suoi ricordi, un paio di parastinchi allentati e la maglia numero 9. Sfiorandola per l’ultima volta aggiunse tra sé “Chissà se un giorno ci sarà un calciatore che riuscirà ad onorare più di me questa maglia”. Facendogli dono di un celebre aforisma napoletano, diciamo senza indugio «Massimo, staje senza pensieri».

 

a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)

 

 

 

 

 

 

 

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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