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#AMENTEFREDDA – Napoli corsaro e primo: l’elogio (a volte sbagliato) della normalità

 

a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)

Basterebbe spesso riavvolgere un filo per trovare senso a tutto, ma stavolta non è così. La partita questa volta va vista al contrario, perché ciò che la decide sta all’inizio e non alla fine.
Tre episodi su tutti, coinvolgenti soggetti non proprio a stretto giro: Kalidou Koulibaly, Maurizio Sarri e Massimiliano Irrati.
Non hanno nulla in comune, se non l’appartenenza ad un linguaggio comune che è il calcio, vissuto in tre ruoli completamente diversi; chi in campo, chi in panchina, chi con in bocca un fischietto.

La partita a Roma finisce sostanzialmente dopo la prima mezz’ora. La Lazio non regge all’uno-due Higuain-Callejon e si spegne sotto i colpi di un Napoli che anche all’Olimpico dimostra i perché del suo essere primo in classifica. Ancora una volta, l’affermazione non è casuale; la Juve ne fa uno al Genoa, gli azzurri due alla Lazio. Stracciando record straordinari: per Higuain 23 gol in altrettante gare, per Callejòn quarta segnatura nelle ultime quattro uscite di campionato, per il Napoli tutto la settima vittoria di fila, qualcosa che in questa città si era vista solo una volta, più o meno ventotto anni fa. La Lazio di benzina ne ha poca; gli infortuni, gli squalificati, un Pioli con poco garbo, ma la partita sussulta solo sul finire e con giocate estemporanee che non danno mai il senso di un vero e proprio tentativo di rimonta.
Peccato che, nell’assenza dei loro giocatori, siano i ‘tifosi’ della curva a volersi ergere a protagonisti; i “buu” di stampo razzista che cadono all’indirizzo di Kalidou Koulibaly sono forse il gesto più meschino a cui potremmo assistere, molto più dei cori contro i napoletani stessi, quelli inneggianti malattie ed eruzioni come fossero pace e serenità per tutti i popoli del mondo.
Chiuso nel suo limbo, Koulibaly perde contatto con la gara nel bel mezzo del secondo tempo, per ritrovarlo poi solo al fischio finale, quando con la saggezza dei grandi (nella testa, non solo nei piedi) dona la sua maglia ad un bambino, immortalando la fotografia della serata.

La normalità di un ragazzo del Senegal arrivato in Italia con le gioie del pallone è replicata dal suo allenatore.
Maurizio Sarri le categorie inferiori le ha conosciute, ci ha fatto esperienza, sa che quei cori in realtà nascondono paura e frustrazione per una gara che non va come si vorrebbe. L’ignoranza fa il resto.
Il tecnico del Napoli va in conferenza ammettendo i meriti suoi, della squadra, ma anche di quelli che l’hanno formato lungo il percorso, tutti quegli allenatori “bravi, ma che non ce l’hanno fatta come me”, ammettendo la sua fortuna di essere un privilegiato normale.
Ma in questo paese, spesso, la normalità assume i caratteri d’eccezione. Come quando Irrati sospende la partita per qualche minuto proprio a seguito di quei cori e per gli appassionati di tutta Italia diventa un eroe. Non ce ne voglia l’ottimo fischietto di Napoli-Lazio, ma come potremmo considerare eroe uno che semplicemente applica una norma del regolamento?
A seguito delle direttive UEFA, infatti, il fenomeno razzista negli stadi ha già da tre anni incontrato l’ostracismo delle regole federali, obbligando gli arbitri ad agire in quel modo.
Ma in un Paese che, in pieno 2016, ancora si permette quattro fischi dalla finalità dubbia, come pretendere di non scambiare la normalità per eccezione?
Al bambino che ha ricevuto la maglia sudata di fine gara, l’ardua risposta.
 

 

 

 

 

 

 

 

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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Gennaro Arpaia

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