a cura di Paquito catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
«Un gol allo stadio San Paolo lo segnerò pure io. È solo questione di tempo». Si guarda allo specchio mentre pronuncia questa frase e, oltre al suo volto, vede riflesso quello dei compagni di squadra con cui condivide lo spogliatoio.
L’idioma è per lo più tedesco, ma come sempre accade in questo calcio moderno e senza confini, lingue neolatine si mescolano a parlate sudamericane, mentre per rapportarsi a un calciatore asiatico si preferisce l’inglese, accompagnato da qualche immancabile gesto.
Lui, Erwin Hoffer detto Jimmy, si esprime nella sua lingua d’origine, l’austriaco, curandosi poco dei volti straniti dei compagni o di quelli che rispondono con un internazionalissimo “what?” per chiedere lumi in merito al suo pensiero. D’altronde lui è fatto così: ragazzino anticonformista, col volto dell’eterno adolescente e quei capelli biondo chiaro che lo riportano indietro nel tempo. A quegli anni ’80 che gli hanno dato i natali e che ne hanno segnato la formazione culturale, televisiva e musicali nel delirio pop del decennio successivo. Non vi stupirete quindi se, cercandone le foto sul web, vedrete uno scricciolo più simile al protagonista della serie tv “Dawson’s Creek” che a un centravanti col vizio del gol e col desiderio di conquistare il paese del sole.
Il soprannome poi, Jimmy, è una sfida alla memoria dei nostalgici da salotto: quel Big Jim che faceva la felicità di ogni maschietto dai 5 agli 11 anni, mentre si sprecavano i cuccioli di qualsiasi razza animale a cui veniva attribuito quel nomignolo, in un perenne testa a testa con Bobby, Ted e Fido (quest’ultimo solo per i cinofili più incalliti).
Cresceva Jimmy e nel freddo di Baden bei Wien, ridente cittadina austriaca con poco più di 25 mila anime, prometteva di diventare un grande centravanti. L’Austria prima, l’Europa come tappa intermedia, prima di rivelarsi al mondo quale implacabile marcatore di razza.
Dopo la gavetta nell’Admira Wacker, il Rapid Vienna è il palcoscenico prestigioso sopra il quale esibirsi e Jimmy, fattosi ormai uomo, mette in luce il suo talento e quel desiderio di emergere che lo porterà lontano. È vero che il campionato austriaco ha lo stesso appeal mediatico di un quadrangolare giocato a luglio, ma quarantuno gol in due campionati sono un biglietto da visita importante per qualunque calciatore, anche per un poco più che ventenne pronto a fare il grande salto. Ed è quel che succede all’eroe di questa storia che, un pomeriggio del 2009, firma un contratto che lo legherà per 5 anni al Napoli. Sì, proprio quella squadra in cui hanno giocato Maradona e Careca e in cui, in tempi più recenti, Quagliarella, Hamsik e Cavani sono andati in doppia in cifra. Il ragazzino biondo con la favella difficile da comprendere promette di mettere in difficoltà l’allenatore e di far sudare sette magliette al collega di reparto Lavezzi che, dopo qualche bicchiere di mate, per un attimo viene colto dal dubbio che Hoffer possa rubargli il posto.
Tuttavia la sobrietà porta consiglio e il Pocho non viene mai messo in discussione, se non quando il fisico lo costringe a qualche inaspettata sosta. Ma pure quando questo avviene, Jimmy Hoffer da Baden bei Wien si limita a qualche sporadica presenza e a lunghi pisolini sulla panchina azzurra. Dura una stagione appena la sua esperienza napoletana: spedito in giro per la Germania, di lui si perdono le tracce insieme alla fotocopia del contratto sottoscritto con la società di De Laurentiis che diviene carta straccia, dopo la naturale scadenza dell’accordo.
Gli chiedono di Napoli i nuovi compagni. Del sole, del lungomare, di una pizza che è un canto celestiale a contatto con le papille gustative. Sorride, Jimmy, con quel volto da eterno ragazzino. S’adombra un po’ solo se si parla di pallone. Ma non dispera, quello mai. Un giorno, è convinto, il Napoli lo richiamerà e si affiderà a lui per tornare grande. Un gol lo realizzerà prima o poi. Sognare, in fondo, è diritto di ognuno.