E’ l’ultimo nato in casa Pixar, eppure è già considerato da molti il loro ennesimo capolavoro, tanto grande da poter accomodarsi nella Hall of Fame insieme con colossi come Toy Story. Si tratta di Inside Out, creato dall’astro nascente della compagnia statunitense Pete Docter, formatosi per anni alle spalle di John Lasseter, e ormai da tempo pronto a spiccare il volo, come in parte dimostrato da Monsters & Co., ma soprattutto Up.
Senza preoccuparsi del limite entro il quale un film d’animazione può ancora considerarsi “per bambini”, Docter analizza a suo modo una precisa fascia d’età, quella immediatamente precedente la pubertà, evidenziando le palesi difficoltà di una fetta della società statunitense nel rapportarsi a stati d’animo come la tristezza nei giovanissimi (e non solo). Troppo spesso si fa ricorso a farmaci per evitare che i giovanissimi debbano fare i conti troppo presto con il lato oscuro delle emozioni umane, dunque Inside Out si prefigge come obiettivo quello di mostrare il naturale percorso emotivo che ognuno di noi, a modo proprio, ha dovuto seguire in passato.
Non esiste una persona che viva di sola Gioia, così come non è possibile lasciarsi governare unicamente da Tristezza, Rabbia o Paura. Occorre trovare un proprio equilibrio personale, anche se non mancano esempi di persone che, seppur in età adulta, risultano del tutto incapaci di conciliare i propri stati d’animo, agendo in base all’istinto, seguendo, a seconda del momento e delle condizioni esterne, l’onda lunga delle proprie emozioni.
Il mondo del calcio offre un variegato ventaglio d’esempi in tal senso, dato che la maggioranza dei tifosi vive nel momento, incapaci di guardare oltre ogni singola partita. Napoli è di certo una delle regine in questo malsano sport, e anche quest’anno ha saputo ampiamente dimostrare il perché. Questa città sa infatti essere così folle, quando si parla di calcio, da fischiare sonoramente un tecnico esperto e vincente come Benitez, dandogli del brocco incapace sia nei bar che sui giornali. Si pretende questa maledetta maglia sudata (perché ormai la gente parla per hashtag), ma al tempo stesso si teme il passo indietro qualora si decidesse di abbandonare la via dell’internazionalizzazione. In pratica si vorrebbe Mazzarri ma di caratura mondiale, ovvero Mourinho (forse unico nome a mettere d’accordo l’intera piazza).
De Laurentiis ha optato per Sarri, definito come ultimo nome della lista, beccandosi gli elogi di pochi giornalisti e le critiche spregevoli dal resto del mondo partenopeo. Dalla rabbia dell’annuncio alla paura infondata di retrocedere, passando per il disprezzo per la tuta (perché tornare alle origini è un conto, ma al vestito buono si era abituati ormai tutti).
Come detto però Napoli è molto volubile e in preda alle proprie emozioni. Dunque ora che la squadra ha gioco, risultati e una difesa che non fa acqua da tutte le parti, ecco far ritorno la gioia meschina e momentanea, che durerà di certo ben poco. E’ possibile infatti già ascoltare molti tifosi ripetere che in fondo Juventus e Lazio non avevano la rosa al completo, e che Club Brugge e Legia sono delle squadrette. La rabbia è già pronta a prendere il comando dentro le loro teste, e per innescare l’ennesima protesta basterà probabilmente una sconfitta contro la Fiorentina o un pari contro qualsiasi medio-piccola.
Ciò di cui questo Napoli avrebbe bisogno è un progetto, concedendo 6-7 anni a un tecnico, lasciandolo libero di mostrare ciò di cui è capace. Guardare alla Premier e disprezzarne i tempi logistici è folle, ma in fondo Napoli è una delle regine, e la follia, purtroppo per noi, pare rientri tra i diritti regali.
di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)
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