a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
Avrebbe fatto la felicità di Charles Darwin. Non che i tifosi azzurri non l’abbiano amato, anzi. In un’ideale undici di tutti i tempi un posto in squadra l’avrebbe trovato senz’altro questo mediano brasiliano con un nome troppo lungo per essere citato celermente: Ricardo Rogério de Brito. Meglio un nomignolo, in puro stile brasiliano.
Nasce così: Alemão, con tanto di tilde sulla penultima vocale. Spulciando un vocabolario portoghese, scopri che quel termine indica un abitante della Germania, ed ecco che torna in gioco Darwin. Sì, proprio lo studioso dell’evoluzione della specie. Si sarebbe chiesto, il luminare, come mai un calciatore nato e cresciuto sotto il sole della regione di Minas Gerais in Brasile avessi i capelli biondi e la carnagione così chiara da ricordare più un nordeuropeo che un sudamericano.
Avrebbe cominciato a spulciare i libri polverosi della sua biblioteca; avrebbe inviato ad altri dotti scienziati le sue teorie, vergando pergamene e aggiungendo sigilli di ceralacca, per far sì che nessuno svelasse anzitempo i suoi studi o intralciasse il cammino dell’evoluzione umana.
Intanto Alemão, si preoccupava di correre con addosso la maglia azzurra e di creare, con Careca e l’Onnipotente, un trio di sudamericani che a Napoli si era integrato fin troppo bene. Figli di una dea Partenope ritornati nel loco natio per regalare ai propri tifosi gioie, trofei e aneddoti da raccontare ai posteri, ammirando una bacheca mai così rigogliosa e abbagliante.
Una coppa Uefa, uno scudetto, una supercoppa italiana nei quattro anni all’ombra del Vesuvio. Quasi millecinquecento giorni in cui quel ragazzo col baffetto da gangster anni ’30 e la criniera leonina accarezzata dal vento si distinse per l’animus pugnandi (citazione latina che avrebbe utilizzato anche Darwin) e una tecnica atipica per i funamboli verdeoro. Concretezza in luogo della fantasia; il pragmatismo preferito alla giocata illuminante e strappa applausi. Bianchi prima, Bigon poi ne apprezzano le doti e ne fanno un pilastro di un Napoli temuto in tutta Europa.
Nell’estate del 1992 viene ceduto all’Atalanta, forse perché pago dei successi in azzurro o, più probabilmente, perché di quel Napoli invincibile non resta che uno sbiadito ricordo. E ritrovi adesso Alemão coi capelli radi e la fronte spaziosa, sintomo di una incipiente calvizie, ma pure di saggezza. L’iconografia dell’uomo neandertaliano.
Altro materiale che Charles Darwin avrebbe apprezzato.
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