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PAQUIPEDIA – Fernando De Napoli, il campione che portava bene

 

a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)

«Mi scelse il Napoli perché… ero giovane e bello». Vorrebbe tanto cominciare così la sua biografia Fernando De Napoli, tuttavia guardandosi allo specchio ritorna sui suoi passi e corregge il tiro: «Mi scelse il Napoli perché ero giovane… e di belle speranze».

Non aveva il fisico dell’adone, però nel mare magnum della metà campo sapeva farsi rispettare con quei modi ruvidi dei calciatori cresciuti in provincia. Prima in terra emiliana, con la maglia del Rimini, poi ad Avellino. Quattro passi dalla natia Chiusano di San Domenico e meno di cento chilometri da quella Napoli che, nel segno di Diego, cominciava a diventare non soltanto la squadra più forte della Campania, ma una delle formazioni più competitive della serie A.

Italo Allodi, lungimirante dirigente con i capelli bianchi e l’occhio lungo per i campioni in erba, vide in lui quel mediano che tanto serviva a Ottavio Bianchi. Quasi sei miliardi del vecchio conio ed ecco che quel ragazzo non molto avvenente indossa la maglia azzurra. Lo fa da titolare, in barba a chi vedeva in lui il ventiduenne destinato alla panchina per tutto il campionato; a dispetto di quello che lo apostrofano “Befana” per via del naso lungo e il mento con la scucchia.

Per fortuna Nando non bada a certe dicerie, dagli spalti al campo la distanza è lunga e pure il peggiore degli epiteti si disperde nel vento. Così come si disperdono le energie degli avversari che tentano vanamente di tener testa a quel ragazzo non gradevole alla vista e neppure durante i contrasti, dai quali esce quasi sempre vincitore.

Si decide per un cambio di nomignolo. D’altronde un beniamino azzurro va sostenuto con tutti i crismi ed ecco che si pensa a Silvester Stallone e alla sua saga in cui interpreta un ex soldato in cerca di vendetta. No, per carità, non si equivochi. De Napoli non ha il fisico da boxeur e nemmeno la parlantina sciolta doppiata da Ferruccio Amendola, ma in campo ricorda eccome John Rambo, pur senza il mitra che gli penzola di fianco e gli addominali forgiati in palestra. È questione di grinta, di carisma e di quella cattiveria agonistica che ti portano a diventare uno dei calciatori più titolati della squadra azzurra, al pari delle divinità che vivono alle falde del Vesuvio. De Napoli vince infatti due scudetti, una coppa Uefa, una coppa Italia e pure la prima supercoppa italiana della storia, in quel match epocale con la Juve, che un giorno meriterà un racconto a parte.

Non pago dei successi azzurri e consapevole che di quel Napoli leggendario non resteranno che foto ingiallite, si trasferisce al Milan e pure lì continua a vincere: due scudetti, altrettante supercoppe italiane pure una Coppa dei Campioni. Inutile cercare conferme su Wikipedia, ci ha già pensato l’autore del racconto stupito ancor di più da un’immagine che ritrae il sorridente Fernando abbracciato alla coppa dalle grandi orecchie.

Ma visto che non avrete resistito a dare una sbirciata al web, vi accorgerete che De Napoli in maglia rossonera ha giocato meno di 10 partite in due stagioni, qualcuna in più se si aggiungono le amichevoli. Qualcuno disse che era tutta colpa della concorrenza, qualcuno diede la colpa all’allenatore e qualcun altro agli infortuni che tormentano, di solito, i calciatori freschi di trentesimo compleanno.

Eppure lui ha vinto. E parecchio. E spesso lo faceva nell’anno dell’esordio. Chissà, a questo punto, di non giocarsi come incipit biografico «Mi scelsero il Napoli e il Milan perché… portavo bene».

 

 

 

 

 

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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Gennaro Arpaia

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