PAQUIPEDIA – Roberto Stellone, il giovane vecchio che insegue la A

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a cura di Gennaro Arpaia (Twitter:  @gennarojenius9)

La forma fisica è quella del centravanti che, fino a quattro anni fa, creava più di un grattacapo al marcatore di turno.
Il taglio di capelli pure, con quel look da soldato del corpo dei Marines. Un espediente teatrale o forse solo un modo pratico di nascondere una calvizie con cui ha preso confidenza in giovane età. Non fosse per la mise elegante con cui scende in campo la domenica, penseresti che Roberto Stellone sia ancora un calciatore e non un tecnico che, a soli trentotto anni, può già vantare un record che permetterà ai posteri di ricordarlo, o forse solo a coloro che digiteranno il suo nome nella barra di Google.

Il 31 maggio 2015 non è una data che passerà alla storia, a meno che non viviate a Frosinone o siate supporter di questa squadra laziale che, per la prima volta nella sua storia, approda in serie A. Sfidando ogni pronostico, la malasorte, il mercato delle big della serie cadetta e inaugurando un nuovo corso delle squadre venute su a “pane e pallone” che riporta in A il Carpi e pure un Bologna lontano dai fasti di un tempo.

E non passerà alla storia la sua avventura in maglia azzurra. Annus domini millenovecentonovantanove: Roberto Stellone è un ragazzo, poco più che ventenne, reduce da una discreta stagione a Lecce. Al Napoli serve una torre per far rifiatare Schwoch e Bellucci e mister Novellino con la sua cadenza irpina avvalla l’acquisto del promettente attaccante nato a Roma.
In barba a chi pensava che fosse solo una riserva, Roberto gioca una stagione da protagonista, con tanto di doppia cifra e ritorno in serie A dopo due anni di purgatorio calcistico.

La serie A. Altro traguardo che Roberto nato a Roma non scorderà mai. Primo ottobre del 2000. Un campionato che comincia più tardi del solito e l’esordio per il neopromosso Napoli è di quelli che metterebbero i brividi a chiunque: la Juventus di Ancelotti in casa.
Il Napoli di Zeman è una scommessa, vecchie glorie e promettenti giovani con addosso la maglia azzurra. Al centro dell’attacco non gioca l’esperto Amoruso ma quel Roberto Stellone che, di fronte agli ottantamila spettatori del San Paolo, si presenta in campo con un biondo platino che ricorda Caterina Caselli o altri artisti degli anni ’70.

Minuto 41 del primo tempo, il cross di Sesa è una pennellata sulla quale Roberto da Roma si avventa con l’istinto del centravanti di una volta. Il pallone finisce in rete, lo stadio San Paolo diviene un girone dell’inferno dantesco. Quello in cui finiscono i tifosi che, dopo 90 minuti, verranno puniti da un silenzioso contrappasso che dura almeno fino al mercoledì.
La strada sembra in discesa per il nuovo Napoli di Zeman, ma Kovacevic prima e Del Piero infrangono i sogni di gloria azzurri.

C’è poco altro da raccontare di quella stagione maledetta che il Napoli chiuderà tornando in serie B e Stellone recuperando troppo lentamente da una serie di infortuni.
Ancora un anno a Napoli, poi i titoli di coda di un’avventura che lascia comunque i segni addosso. Perché far gol davanti a ottantamila esagitati non è cosa da tutti, specie quando l’avversario si chiama Juve; perché non è cosa da tutti portare in serie A un gruppo di ragazzi di provincia dopo 103 anni dalla fondazione; perché, sotto sotto, il desiderio di tornare allo stadio San Paolo e farlo, un giorno, da allenatore è cosa lecita per uno che a 38 anni sa di essere ancora un ragazzino, ma con la fama di giovane vecchio.

 

 

 

 

 

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