COLPI DI JENIUS – Il calcio spagnolo: così vicini, così distanti. La storia di Pedro e il marchio di Ciro

pedro

 

a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)

Altro bagno di folla, altro trofeo, altra vittoria. La notte di Tbilisi, in terra georgiana, ha mostrato al mondo del pallone quanto ancora sia primo il calcio spagnolo. In tutto: in emozioni, sensazioni, qualità individuali e di squadra.
Una partita bellissima, durata 120′ di spettacolo, col Barcellona dei fenomeni che prende il largo e il Siviglia di Emery – quello che pareva dovesse arrivare a Napoli, proprio lui – coriaceo e mai arrendevole che quasi ribalta il risultato e costringe gli alieni ad avere paura e a doverla vincere due volte quella Coppa.

Intensità e classe: queste le due variabili più importanti della notte di Supercoppa Europea. Una gara così bella da farci pensare che, quasi quasi, i rigori potevano essere la fine più giusta da scrivere.
E invece no, perché la partita, che è già una storia a se, vuole raccontarne un’altra di storia: quella di Pedro Rodriguez Ledesma, meglio conosciuto solo col nome di Pedro o Pedrito, visto che veste quella maglia da più di dieci anni, da quel 2004 in cui entrò a far parte della grande famiglia blaugrana.
Una storia particolare la sua: passano gli anni e all’ombra del Camp Nou passano i fenomeni. Ha avuto compagni di reparto come Ronaldinho, Eto’o, Henry, Ibrahimovic, Bojan, Sanchez, Neymar e non per ultimo Messi. Alcuni non resistono alla concorrenza, tanti vanno via con gli occhi bassi, mentre lui è sempre lì: pronto quando serve, come nell’ultima (probabilmente) azione della sua vita in blaugrana.
Quali siano i suoi ingredienti nessuno lo sa; fatto sta che le due squadre di Manchester sarebbero disposte a spendere fino a 30 mln di euro per fargli cambiare maglia, ed è probabile che ci riusciranno.
Ha segnato in tutte le competizioni, Pedro: il suo palmarès recita: 5 campionati, 3 coppe nazionali con 4 supercoppe, 3 Champions con altrettante Supercoppe europee, 2 mondiali per club, 1 mondiale ed 1 europeo vinti con la nazionale spagnola. Mica male per uno che parte sempre dalla panchina.
Anche ieri, Luis Enrique gli aveva preferito Rafinha, altro canterano pure andato in gol, ma il nativo di Santa Cruz ha messo ancora il suo sigillo.
La nuova lezione del calcio spagnolo passa da Tbilisi; anche una squadra non piena di stelle come il Siviglia ha un’organizzazione tale da permetterle di vincere l’Europa League e giocarsela alla pari con il Barcellona. Quella stessa Europa League che avrebbe potuto vedere proprio il Napoli contro gli andalusi in finale.
Ma se geograficamente non siamo così distanti, ancora tanto lontano è il livello del nostro calcio.
Gli arrivi di gente come Dzeko e Mandzukic, gentilmente cacciati dalle rispettive squadre, potranno aiutarci a tornare almeno a giocarcela con spagnoli e inglesi?
Sarà la prossima stagione a dircelo, nel frattempo non ci resta che goderci l’unico marchio italiano nella serata di Supercoppa: un marchio tinto d’azzurro Napoli, visto che Ciro Immobile, ultimo arrivato in casa Siviglia, ci mette anche un suo assist per aiutare i suoi a pareggiare la gara prima del novantesimo.
Bene così, Ciro. Che la Spagna possa essere casa per te più della Germania.

 

 

 

 

 

 

 

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