Capelli biondo platino, in contrasto con la pelle ebano.
Senegalese trapiantato in Francia quando era ancora in fasce, ma come lui stesso ripeteva “L’Africa ti resta dentro, ovunque tu vada”.
Ed è per questo amore, che resta fedele, alla nazionale Senegalese.
Con la quale disputa la Coppa d’Africa nel 2002, perdendo in finale contro il Camerun.
Viene eletto miglior calciatore africano dell’anno, per le sue giocate strabilianti, per i suoi modi di fare aggressivi ma al tempo stesso precisi e studiati.
Le stesse doti che lo porteranno ai Mondiali nello stesso anno e grazie alle quali, riesce ad inserirsi con tenacia e grinta nella top 20 dei migliori del mondiale.
Un posto nella All Star Team, il podio come miglior calciatore in campo, dopo aver eliminato la Francia.
Il secondo miglior realizzatore della sua Nazionale. Ben 21 reti in 41 partite.
Un campione, un calciatore strepitoso eppure.
Dove sono finite queste doti, queste capacità, questa magia?
Matto, folle, un pazzo fuori e dentro al campo.
Un carattere ribelle ed ingestibile che l’ha portato a spegnersi.
In Inghilterra, si ricordano di lui per le sue bravate e le liti, sotto l’effetto dell’alcool, nei vari locali notturni.
Sulla sua strada, anche l’incontro con l’ex azzurro, Benitez.
Il Mister passa sulla panchina dei Reds ma chiede di cedere Diouf, perchè non in linea con le sue idee.
Nello stesso anno, viene ceduto al Bolton ed inserito da Pelè nella lista Fifa 100, che include appunto, i 100 calciatori più forti al mondo.
Qualcuno sbraita, qualcun’altro storce il naso.
Lui ne esce inorgoglito e l’anno successivo segna e regala il primo posto in campionato alla sua squadra.
Ma non basta, non basta essere un campione se in campo e fuori, non sei capace di comportarti da uomo e ancor peggio, non sei nelle capacità di gestire la rabbia e l’ira.
Picchia, picchia forte ed ammonizioni ed espulsioni non placano il suo animo ribelle.
Si fa trovare spesso ubriaco. Ancor peggio l’arresto per una rissa in un bar a Glasgow.
L’alcool gli ha bruciato il cervello e la carriera.
Passato da una squadra all’altra, addirittura senza un regolare contratto.
Tutti ne tessevano le lodi ma tutti, ancor peggio, ne decantavano lo stile sregolato e poco predisposto alla collaborazione.
Nella sua bacheca, trofei e riconoscimenti, per ricordargli chi era e soprattutto chi poteva diventare.
Di Anna Ciccarelli