a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
Paragonarmi a Lui? Non scherziamo. È vero, di cose in comune ne abbiamo avute tante: il 10 sulle spalle, i pochi centimetri d’altezza e il sinistro con cui abbiamo conquistato i tifosi napoletani. Ma io ero io, e Lui era Lui. No, non è un esercizio di stile, la letteratura non è mai stata il mio forte, è una constatazione. Quel pronome devi scriverlo con la lettera maiuscola perché ti riferisci ad un’entità divina che ha pensato bene di riscrivere la storia del calcio.
Sì, scusa. Devo parlare di me e continuo a riferirmi a Lui. Ma sai, se ho imparato a battere i calci di punizione, aggirando la barriera e lasciando il portiere immobile, l’ho fatto perché lo osservavo e aspettavo che mi guardasse prima di calciare. A volte sorrideva, altre riprendeva a correre come se nulla fosse successo. Ma sapevo che dentro quel silenzio c’era una lezione di calcio che mi sarebbe servita in futuro. Magari in un’altra squadra nella quale sarei andato, portando l’azzurro del Napoli nel DNA.
Una città come questa proprio non puoi dimenticarla. Una squadra come questa ti rimane dentro e non passa notte che qualche calciatore non ti compaia in sogno. Magari inseguendo un pallone, oppure allungando una mano per togliere il pallone dal sette, tra gli applausi del San Paolo. Sapessi quante volte li ho sognati pure io: Pesaola, Jeppson, Sallustro e pure Dirceu, un calciatore più vicino alla mia generazione e più facile da emulare. Prima che arrivasse Lui.
Lo so, ho promesso di non parlarne più. Ma vedi, dopo quel maledetto marzo del 1991, è toccato a me portare addosso quella maglia uguale alle altre, ma con quel 10 che pesava una tonnellata. Tutto sommato direi che me la sono cavata. I gol, gli assist e qualche punizione che finiva dentro al sette, proprio come le batteva Lui.
Scusate, ma questa volta la citazione fatemela passare. Non foss’altro perché quei tiri da fermo erano un omaggio di un umile allievo a un maestro inarrivabile; tuttavia l’allievo diligente s’è tolto più di una soddisfazione vincendo lo scudetto, le coppe con il Parma e quelle con il Chelsea. Pensate che a Londra ancora mi chiamano sir. Vezzi di un popolo britannico che rende omaggio a chi ha fatto la storia di una squadra.
Uguale a quella tifoseria azzurra che ancora batte le mani per me adesso che indosso la giacca e la cravatta di allenatore.
In fondo non ero Lui, ma se chiedete in giro di Gianfranco Zola parleranno ugualmente bene.
Succede agli allievi che venerano i maestri.