di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)
Nel 1998 gli 883 decidono di seguire il filone dei film musicali che in Italia è stato in grado di generare dei veri e propri mostri, nei quali la recitazione è più che mai da considerarsi “questa sconosciuta”, e in fondo tutto ciò che conta è inserire le hit preferite dal pubblico in una storia un po’ più ampia come quella di Jolly Blu.
Quelle di Pezzali sono le canzoni che solitamente non conosci per passione. I suoi pezzi non sono nel tuo iPod, ma le conosci perché rientrano in quel ventaglio di classici da karaoke e radio nostalgia che non puoi non sapere a memoria. Senza ombra di dubbio una delle più note è La dura legge del gol, che rientra ovviamente nel novero dei brani di Jolly Blu.
Il buon Max non se la passa mai tanto bene nei suoi brani, carichi sempre di un bel po’ di malinconia, e così, addossando tutta la colpa a quel genio di Cisco, inizia a parlare di come nella vita si vada spesso incontro a dei tristi addii, ma soprattutto, ricordano la versione infantile di me, parlava di gol presi, di difese assenti e di quel maledetto gioco in contropiede all’italiana che il Napoli non è palesemente in grado di fronteggiare. Ovvio si tratti di una metafora, ma non si può chiedere troppo a un ragazzino, e così, sentendo parlare di legge del gol, ho sempre avuto un pensiero triste per gli azzurri, ieri come oggi.
Neanche sto a dirvi a chi penso quando ascolto la frase: “Quanti in questi ci han deluso, quanti col sorriso dopo l’uso ci hanno buttato“. I ricordi sono troppi e nella maggior parte dei casi fanno ancora male. Il problema, come dicevo, è quella maledetta legge. Il Napoli aureliano ha provato a evolversi nel tempo, puntando su giovani centrocampisti e attaccanti di talento, e facendo le fortune di big facoltose, ma di metter su una difesa in grado di non subire costantemente dei furenti contropiede anche dal Chievo, non c’è mai stata voglia.
Di certo la difesa mazzarriana sarà ricordata da tanti come positiva. Perfino Aronica riuscì a ben figurare, ma come ricorda Max, la regola generale del calcio prevede anche che tu faccia “un gran bel gioco“, magari come quello di Benitez, che ha preferito fingere che De Laurentiis gli avesse davvero acquistato i difensori richiesti, e così ha continuato a far giocare il suo gruppo all’attacco, nella convinzione che un miracolo potesse accadere nelle retrovie.
Di miracoli però da queste parti non se ne vedono, e se c’è una cosa che ogni napoletano sa bene è che per ottenere almeno un piccolo riscontro nella vita, occorre sudarselo ogni singolo giorno. Su questa scia di pensiero ci ritroviamo oggi in panchina Maurizio Sarri, mister certo, ma soprattutto lavoratore. Il suo Napoli sta iniziando a prendere forma e, al di là delle scontate critiche dovute al suo nome (se solo si fosse chiamato Mauricio, magari sarebbe stata un’altra storia), mi lascia più soddisfatto ogni giorno che passa, nome dopo nome sul mediatico taccuino di Giuntoli.
E’ un Napoli in restauro, non in demolizione, e finalmente qualcuno, come per il tanto discusso manto erboso, si è reso conto che qualcosa non andava ormai da tempo con le fondamenta. Sulla carta Sarri sarà anche un passo indietro rispetto a Rafa, ma probabilmente in questa stagione potremo smetterla d’aver timore dei vari Kone, Paloschi, Denis e del gran seguito dei loro amici del club “Segna facile col Napoli”, e forse (forse) sono altri a “non capirci un ca..o”.