Mi chiamo Maurizio Sarri e sono l’allenatore del Napoli. Lo so, finché non arriva il tweet del presidente, sono ancora un tecnico senza panchina. Ma io aspetto. E non mi arrabbio. Perché se m’arrabbio mi si storce la faccia e divento uguale a don Pietro Savastano. Sì, proprio quello di Gomorra. Quello di «Stai senza pensieri» e «Bevi. Famme capi’ se me posso fida’ ‘e te». Due gocce d’acqua. E tutti a ripetermelo, da Palermo a Milano.
A Milano mi volevano. Sarri l’uomo giusto per la rifondazione Milan. Sarri e quattro ragazzini per riproporre il Milan degli anni 80. Sarri come Sacchi. E a Milano scelgono Mihajlovic. Perché veste elegante, non fuma a bordo campo e s’incazza coi giocatori, pure quando si chiamano Samuel Eto’o.
Altra storia quella. Un campione che ha vinto tutto, che da solo guadagna due stipendi e mezzo della rosa dell’Empoli; uno che ti si avvicina e dice «Onorato di conoscerla mister» e io che gli rispondo «Mi prendi per il culo? Tu sei Samuel Eto’o». E poco ci mancava che non diventavo il suo allenatore, in quella Genova blucerchiata con il cielo sempre grigio e l’aria che odora di tabacco e nostalgia. Però lì c’è il mare e a uno come me, nato a Napoli ed emigrato a Figline, l’aria salata fa bene. Regala il sorriso e non ti fa arrabbiare, così non c’è il rischio che mi trasformi in don Pietro e sia costretto a dire a Gargano «Cia’ bullett’» o a chiamare Hamsik «Genny bello» per quella cresta che chissà come si tiene in piedi.
Io, Maurizio Sarri, che porto l’Empoli alla salvezza e lancio calciatori che un giorno, magari, diventeranno fuoriclasse, a meno che non alzino la cresta, non quella di Hamsik, ma quella dei mocciosi che si credono divi al primo contratto che supera il milione di euro all’anno. Rugani, Valdifiori, Saponara. Nomi che si scelgono al fantacalcio perché costano poco e sono titolari. Invece finisce che diventano fenomeni e adesso li vuole mezza Italia.
E poi Luigi Sepe, che a Napoli ci arriverebbe col treno dalla sua Torre del Greco, e al quale ho detto «Tranquillo, Gigi. Mal che vada fai il secondo a Reina. E se il presidente mi dice che il bilancio è in rosso, ti lancio titolare e vediamo quanto ti tremeranno le gambe all’esordio al San Paolo».
Chissà che non c’abbia visto giusto, ma soprattutto chissà se sarò io l’allenatore del Napoli. Se non arriva il tweet, De Laurentiis non ti da certezze. Ma io me frego dei social network e delle conferenze stampa. A me interessa il campo. Quel rettangolo verde che diventa il mio terreno di battaglia. A guidare le truppe all’assalto, lasciando le cicche vicino alla panchina e incazzandomi quando si sbaglia un cross. E lì hai voglia a trasformarmi in don Pietro Savastano.
di Paquito Catanzaro
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