a cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
Non lasciatevi ingannare dalle apparenze.
Se di solito vesto di nero è solo perché affina la mia silhouette, rendendomi più attraente.
Un mero caso. Lo stesso che ha deciso la data della mia nascita. Sei aprile millenovecentosettantacinque. Il Napoli in trasferta a Torino a soli due punti dalla Juventus e dal primo scudetto. A mia madre si ruppero le acque proprio nell’istante in cui Causio segnava l’uno a zero bianconero. Del pareggio di Totonno Juliano ne ascoltammo l’eco, mentre si correva in sei dentro una vecchia cinquecento, col fazzoletto bianco sventolato e mio padre che continuava a ripetere «Che mazzo… ‘sto criaturo nasce il giorno dello scudetto». E infatti così avvenne.
La Juventus vinse lo scudetto col gol di Altafini, divenuto da quel giorno core ‘ngrato.
Qualche anno dopo, in una calda domenica di maggio, a causa di un improvviso guasto alla televisione, non potemmo vedere Napoli–Fiorentina, riuscendo tuttavia ad esultare per quel primo scudetto fino a sera, fino al momento in cui il motore della nostra auto si fuse lasciandoci a piedi alle pendici del Vesuvio.
Per evitare spiacevoli sorprese, seguimmo in curva B quel Napoli–Milan di appena un anno dopo.
Un rocambolesco due a tre che scucì gli scudetti dalle maglie azzurre per appuntarli sulle casacche rossonere.
Trasferitomi a Londra, assistetti da lontano all’eclissi di Diego Maradona e alle vicende degli anni successivi. Ma pregno d’entusiasmo per la mia squadra, feci ritorno a Napoli molti anni dopo. Per l’esattezza il 30 luglio del 2004, apprendendo, appena giunto in aeroporto, del fallimento della Società Sportiva Calcio Napoli. Decisi così che avrei chiuso la mia carriera da tifoso. Tuttavia mi concessi un’eccezione, perché forte era il desiderio di sostenere i miei colori. Una sera di marzo in terra d’Albione mi recai allo stadio. La musichetta della Champions, la fresca aria di Londra ed io, che poggiate le terga in tribuna ospiti, ero pronto a godermi la partita del Napoli contro il Chelsea. Una pura formalità, vista l’andata. Una leggera svista difensiva ed ecco che Drogba realizza un gol utile solo per le statistiche. Rimango fiducioso anche al raddoppio di John Terry. Ma ecco che, al minuto 10 del secondo tempo, madre natura esigé il suo tributo. In modo raffinato chiesi a uno steward «Excuse me sir, where is the toilet». E quello altrettanto garbatamente mi rispose «Cumpagno mio, falla pure ‘nfaccia ‘o muro. Ha segnato Inlér. Mo’ ‘e mannamm’ ‘a casa a chist’ inglese e’ ’mm…».
Ometto il finale per non urtare la vostra sensibilità. Tornato al mio posto assistei prima a un calcio di rigore per il Chelsea poi a trenta noiosissimi minuti di supplementari, che regalarono agli albionici i quarti di finale. Immagino adesso i vostri commenti: «Questo è portatore di sventura», «Tocchiamo ferro che forse è meglio», «Zitto zitto fammi fare una grattata».
Affidatevi pure alla scaramanzia se volete. Per me è solo un caso.
Lo stesso che indusse in errore, molti anni or sono, l’impiegato dell’anagrafe che trascrisse inavvertitamente una “S” davanti al mio nome di battesimo: Fortunato.