di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)
Raccontavano le mamme «Il segreto di un buon matrimonio non è sotto le lenzuola, è in cucina».
Fedele a quel motto Carmela, una massaia napoletana prese il suo consorte, Gaetano, per la gola e lo rese lo sposo più felice di Napoli. Ogni giorno una ricetta nuova, ogni pranzo una portata che prima solleticava l’olfatto, poi deliziava il palato e appagava il cuore.
Fino a quel “maledetto” 14 settembre del 1986. Nessun’amante, né intrallazzo tra le lenzuola coniugali. Semplicemente, quel giorno cominciò il campionato di calcio. Quello che avrebbe portato il Napoli al primo scudetto.
A niente servirono piatti di pasta e patate filanti, gnocchi alla sorrentina, né fagioli allardiati. Medesima era la risposta del consorte ormai rapito dagli undici campioni in maglia azzurra Niente… (di nuovo prossima alle lacrime) La risposta era sempre la stessa «Carmela, ‘aggia correre in ‘o stadio. Jamme, mangio quando torno. Tanto, pure fredda ‘sta pasta sarà un capolavoro».
A casa di Carmela e in chissà quante altre abitazioni dal Vomero al quartiere San Giovanni, lasagne che diventavano toste come fogli di papiro, maccheroni che si azzeccavano l’uno all’altro dentro al piatto manco fossero allo stadio San Paolo pure loro. E come dimenticare i piatti finiti dentro la monnezza senza manco essere degnati di un sguardo perché, per chissà quale diabolica equazione, una sconfitta del Napoli coincide sempre con la chiusura dello stomaco.
Disperata, Carmela pensò «Ma mo’ vuoi vedere che Maradona mi fa perdere a mio marito? E no, caro Diego, sarai pure il Pibe de Oro, ma dentro la cucina sono io la numero uno. Anzi… la numero 10».
Il tavolo venne apparecchiato manco fosse un campo da calcio. Al centro, uno sfilatino di mezzo chilo pronto per essere tagliato. Era necessario che fosse fresco e che il cozzetto fosse croccante, perché al primo morso ci si pulisse la bocca col sapore del pane. Svuotata quella pagnotta della mollica, quella barchetta fu lasciata aperta in due metà pronta a caricare l’equipaggio.
Intanto uova e pangrattato vestirono a festa una cotoletta che, nell’olio bollente, cominciò a spandere il suo profumo in tutto l’appartamento. La fettina di carne, dopo esser stata indorata e fritta, rimase sospesa nell’aria per qualche secondo, per liberarsi dell’olio in eccesso, prima di essere adagiata in quella pagnotta che aspettava impaziente di essere completata.
Due peperoni sott’olio e una fogliolina di menta completarono quell’opera, che aveva il fascino di un’opera d’arte e la consistenza di un mattone di tufo dell’antica Pompei. Era nata la marenna.
Quel piccolo capolavoro fu avvolto nella carta argentata accompagnato da un sibillino «Tieni amore mio. Dovesse mai colpirti un attacco di fame durante la partita?».
Da quel pomeriggio, ogni partita in casa fu anticipata da qualche nuova prelibatezza. Salsicce e friarielli, polpette e melanzane, ogni ben di Dio finiva dentro a quei panini per la gioia di Gaetano prima e dei suoi figli poi. Il Napoli, infatti, è una malattia ereditaria che coglie padri e figli per intere generazioni.
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