Svestirsi della propria fede per provare a razionalizzare.
La disfatta a Torino, l’epilogo di una stagione fallimentare.
La discesa è iniziata in conferenza stampa ad agosto dello scorso anno.
“Se non dovessimo superare il turno, non è un dramma” concludeva così Mister Coppe.
Sulla scia del poco entusiasmo ha preso forma un cammino lento e spento.
Risvegliato a tratti da ottime prestazioni per poi tornare nell’anonimato.
Timbrano il cartellino Hamsik & Co. e poi sul posto di lavoro non si presentano.
Assenteisti, svogliati, capaci ma poco dediti al lavoro.
La corsa Champions non è finita allo Juventus Stadium.
In quel luogo buio ed incolore abbiamo assistito inermi all’ennesima umiliazione.
Se in campo avessero giocato Lello di Secondigliano, Antonio e Michele del Centro Storico, Pasquale e Gino della periferia ed addirittura io, avremmo vinto non per tecnica o per bravura ma per orgoglio e rispetto nei confronti di una terra e del suo popolo.
Ma l’antico ardore, il senso di appartenenza non esistono più.
Si calcia un pallone senza motivazioni. Non si cerca il contrasto e non ci si affanna per fermare un’azione.
Si è arrivati ad essere spettatori del proprio spettacolo e ci si meraviglia se al primo atto la platea si sia svuotata.
Callejon, senza Champions League, non resta nella bella Napoli ed i commenti a questa dichiarazione sono molteplici ma con un filo conduttore.
“Senza Champions. E chi doveva arrivarci? Noi per caso? In campo ci siete voi e se questo obiettivo non è stato raggiunto, mio caro spagnolo, prova a farti un bell’esame di coscienza. Siete bravi tutti ad abbandonare la nave mentre affonda. Nessuno che si sia preoccupato di capire prima, dove fosse la crepa. L’unica prestazione positiva, in questo campionato risale a novembre, contro la Roma. Dopo di ché, di te il nulla. Un fantasma in abito da sera e brillantina. Ti accompagniamo a piedi a Madrid. Adìos José.” il commento di Nicoletta merita di essere citato. Racchiude il pensiero di tanti tifosi, soprattutto di quelli che gli hanno concesso il beneficio del dubbio fino alla fine.
La difesa colabrodo che concede tutto con tanto di tappeto rosso per l’incursione dell’attaccante di turno.
Ormai le accuse e le tristi constatazioni alle nostre mancanze risuonano come un ritornello assordante.
Le colpe equamente distribuite.
Tutti colpevoli per un’annata che doveva porre le basi per il lancio di un progetto che ci doveva vedere costruttori del nostro futuro.
Ed invece, ancora una volta, tutto da rifare.
Gente che va, certezze che restano ed un nuovo capitolo da scrivere.
Certezze poche quelle che vestono di azzurro.
Il Capitano più sostituito nella storia del Campionato a testa bassa accetta l’ennesima panchina.
Le polemiche dilagano ma urtano contro muri di gomma piuma.
C’è addirittura chi spera di veder trionfare la Roma, non contento di questa lunga agonia.
Tifare per chi? Mi viene da ridere, una risata nervosa che sfocia nell’incomprensibile ed assurda pretesa di chi spera ancora.
Sul vassoio la Roma ci offre un’altra occasione, un’altra da aggiungere alle opportunità non colte.
Ritorno a scrivere dopo questo 1-2 all’Olimpico, nessun biscotto è stato servito. La Lazio verrà al San Paolo per accedere alla Champions, noi per fare lo stesso.
Nel calcio, così come nella vita, dovrebbe essere uno scambio alla pari.
Se in campo lotti, se ci credi e se combatti e non è detto che il risultato ti sia favorevole, non mancherà mai il sostegno e l’abbraccio della tua gente.
Ma se ciò che dai in campo non è coraggio né orgoglio né reazione non meriti di essere applaudito e puntualmente assecondato. Che sia la partita dell’orgoglio, del riscatto, del continuo di un progetto. Lottare non per se stessi ma per la maglia che si indossa e per la quale non portate rispetto. Nell’ultima battaglia vestitevi di coraggio e combattete.
di Anna Ciccarelli
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I commenti migliori della settimana saranno pubblicati nell’articolo che uscirà la settimana successiva. Perché noi donne passiamo con disinvoltura dal tacco 12 ai 12 tacchetti… voi uomini sapreste fare il contrario?