#AMENTEFREDDA – Rompete le righe; il campionato del Napoli è finito sulla testata di Britos

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a cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)

Se le storie hanno sempre un lieto fine, allora quella del Napoli targato 2015 evidentemente non è una storia, ma un’epopea. Un’epopea cominciata sul finire dello scorso agosto, con quella andata e ritorno di Champions col Bilbao che ha fatto le prime macerie, e conclusasi ieri nell’infernale macchina torinese che è lo Juventus Stadium.
Da una bolgia all’altra, insomma; con le anime azzurre sempre più sbiadite e quegli stadi che sono così lontani dal San Paolo che ormai se ne cade a pezzi come gran parte della stagione stessa.
Quella con la Juventus è stata la chicca finale di una annata che, al netto di poche soddisfazioni, ha dato molti motivi per pensare: non significa che vada tutto buttato nel dimenticatoio, perché se c’è una cosa che lo sport può dare è la memoria. E ricordare gli errori commessi quest’anno potrebbe essere il giusto viatico per le stagioni che verranno.

RITORNO AL FUTURO – Stagioni che potrebbero vedere nuovi interpreti. Il primo, quello in panchina. Rafa Benitez e il Napoli è ormai una storia d’amore che s’è chiusa da tempo. Il tecnico spagnolo ha provato a prendere per i capelli una squadra che anche ieri, in casa dell’avversaria più forte e che scendeva in campo con una formazione assolutamente abbordabile, è andata in campo con il morale sotto i piedi e gli occhi spenti. Altro che provare a rincorrere la vittoria. Il sogno di tenere la Lazio a tre punti si è spento al 90’, ma in realtà è dal primo giro di lancette che si intuiscono i limiti della formazione ospite.
I primi cinque minuti illudono, perché poi la Juve prende gioco e campo, sicurezza e porzioni del rettangolo di gioco. Troppo grandi le differenze tra Pogba e Gargano, tra Morata e Britos (tenete a mente il duo perché alla fine si faranno ricordare).
Meno di un quarto d’ora e la difesa azzurra si apre come al solito: Coman fa con Britos e Ghoulam quello che Mosè fece con le acque. Si apre tutto e Pereyra va dritto in porta.
La risposta della squadra di Benitez non arriva: la formazione coi tre piccoli dietro a Higuain non paga, perché il Napoli non rincorre e non riparte. Higuain, poi, è l’ombra di se stesso e dei difensori della Juve, che fanno poco per arginarlo con successo.
C’è da dire che il copione, almeno un po’, cambia con la ripresa. La scelta di lasciare il Pipita negli spogliatoi preferendogli Gabbiadini sembra pagare nella testa prima ancora che nei piedi: e il fato che pare avverso cambia inerzia, concedendo al Napoli il pari dagli undici metri per un mani di Asamoah. Il ghanese regala, Insigne spreca, ma il taglialegna Lòpez ci mette una pezza e fa gridare il Napoli.
Potrebbe cambiare la partita, perché dopo il pari il Napoli sembra avere in mano le redini: ancora David Lòpez e Hamsik rischiano di trovare il vantaggio, la Juve riparte e sembra fallire di proposito ogni buona occasione, così per tenere ancora aperta la baracca.
A dieci dal termine, però, la giocata di Sturaro spezza le gambe e i nervi agli azzurri. Nei minuti che ancora restano sul cronometro il Napoli va vicino al pareggio, ma la gara si chiude al primo minuto di recupero, quando Britos si mostra ai tifosi napoletani nell’unica azione energica della sua carriera in azzurro: testata sul naso a Morata e rosso diretto. Sotto la doccia. A chiudere in bellezza una stagione che l’uruguaiano aveva cominciato abbracciando Maggio e mostrando a tutti noi, inermi, ancor di più tutti i suoi limiti.

È il capitolo finale, una sconfitta per 3-1, con Pepe che segnerà il successivo rigore, che aprirà le danze celebranti del popolo bianconero. Quel che resta del Napoli non è dato sapere. Forse le valigie di qualcuno che tra una settimana non ci sarà più in città.
Di certo resta una maglia che quest’anno, poche volte azzurra e troppo spesso jeans, è stata messa a dura prova con le parole e non col sudore.
I tre mesi che verranno sono il tempo giusto per ragionare senza speranze ma con autocritica. Rompete le righe, allora. Perché aspettarsi l’ennesimo regalo stagionale dal derby di lunedi riaprirebbe solo ferite e speranze inutili.

 

 

 

 

 

 

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