Tratto dall’omonimo romanzo di Louis Pergaud, La Guerra dei bottoni di John Roberts è una piccola perla grezza che la televisione italiana ha spesso riproposto negli anni della nostra crescita. Un inno alla ribellione, contro tutto e tutti, in uno stato sociale fatto di adulti arrabbiati e di giovani ignari del proprio futuro e racchiusi in quella bolla pre adolescenziale che è l’infanzia, fatta di giochi e prime scoperte, e in questo caso di orgoglio, dure lotte e amicizia.
Siamo in Francia negli anni della guerra e questo drammatico gioco da adulti trova il proprio riscontro in un ampio gruppo di ragazzini di paese. Gli schieramenti non sono scelti quanto più assegnati geograficamente, a seconda della scuola che si frequenta e del paesello in cui si vive. Si sbaglierebbe a vederla come una zuffa tra ragazzi, perché qui c’è in ballo molto di più, e soprattutto occorre rispettare delle ferree regole, che fanno di questi incontri delle vere e proprie battaglie militari, fatte di strategia, dichiarazioni di guerra e prigionieri.
Già, i prigionieri. Nessuno doveva restare ucciso, nonostante in alcuni dei calzoni sporchi di fango fossero riposti dei coltelli. Non si usavano armi che non fossero pietre e mazze offerte dal bosco, ma a chi finiva in mano nemica, mentre il resto dell’esercito batteva in ritirata, doveva subire una punizione esemplare. Ed ecco che Fergus, capo dei poveracci, ha un’idea, armarsi di coltello e lentamente far saltare ogni singolo bottone dell’elegante divisa del braccio destro di Geronimo, biondo capo dei ricchi. I soli bottoni però non bastano, e così si arriva alla cintura, concludendo con le stringhe in corda delle scarpe nere lucide. I pantaloni calano e le ragazze, le poche che prendono parte alla baruffa, se la ridono con clamore.
A tutti tocca l’amaro destino, perfino a Fergus, e si notano le differenti reazioni casalinghe, dalle urla alle cinghiate, per un pizzico di realismo che torna a interrompersi nei campi di battaglia, dove si è tutti talmente diversi nelle origini quanto uguali negli intenti. L’intero arco narrativo ci regala il duro ma leale confronto tra due giovani futuri uomini, Fergus e Geronimo, che guidano i propri schieramenti fino alla fine, senza mai arrendersi, fino a restare con null’altro se non il proprio cuore palpitante a mille.
Da amante di questo film quale sono, non nego che un tale attaccamento lo davo quasi per scontato nella battaglia dei bottoni andata in scena a Kiev nella serata di ieri. Si lotta per la gloria e per un sogno, ma in campo di leader ne compare soltanto uno. Si chiama Konoplyanka, lotta su ogni pallone ed è in grado di non perderlo in nessuna occasione. Resterà in campo fino al fischio finale, perché non si abbandonano i propri uomini, proprio come Higuain, che questa battaglia l’ha fallita nello sguardo.
Sia chiara l’intenzione di non demonizzare l’uomo e il calciatore Gonzalo Higuain. In campo lo schieramento azzurro ha perso in quanto gruppo, e con loro ha contribuito a tale risultato la società tutta, con l’ambiente di Napoli al seguito e dunque, come logica conseguenza, anche il sottoscritto. Ci siamo tutti in questo dolore, tutti in questa amarezza che ci attorciglia le viscere. Se oggi provate a uscire da questa sofferenza gettando la croce sulle spalle altrui, allora siete pregati di non farvi più rivedere.
Se parlo di Higuain e solo di lui è perché avevo riposto ogni mia speranza in lui. Come un bravo soldati credevo senza remore al mio comandante, ma nella serata di ieri ho notato fin dai primi minuti qualcosa di strano. Il mio comandante credeva d’essere a capo delle truppe dei bambini ricchi, che nella pellicola danno fin troppo per scontato. Ritengono la vittoria un merito acquisito dal prestigio del proprio nome, mentre gli altri, i poveri, che credetemi non lo sono affatto, hanno giocato d’astuzia, di tecnica e tattica, preparando lo scontro nei minimi dettagli.
Il film rende chiara l’idea di cosa succeda a chi ha un atteggiamento come quello del Napoli, viene preso a culi in faccia dagli avversari. Si ritrova dinanzi una distesa di cosce, peni e petti nudi, pronti alla guerra in una strategia assurda ma follemente valida. Siamo ora tutti qui, a capo chino, facendo ritorno nel buio del bosco verso casa dei nostri genitori, senza stringhe o bottoni ad arginare il calare delle nostre lacrime.
Ignari del futuro come quei bambini, siamo abbastanza grandi da soffrire maledettamente per tale ignoranza.
di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)
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