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Rafa, sei disposto a fare un atto di fede?

Posto tra il secondo capitolo di Batman e il terzo, Inception rappresenta probabilmente la pellicola di Nolan in grado di dimostrare al grande pubblico, forse ignaro di titoli come Memento, Insomnia e The Prestige, che il suo arco produttivo hollywoodiano non si sarebbe di certo concluso con un cinecomic pretenzioso dall’ottimo risultato. Christopher, e in particolar modo suo fratello Jonathan, hanno ancora molte idee da proporre sul grande schermo, ma con Inception si è tentato il colpaccio.

Una pellicola complessa ma ricca di stelle, un modo per attirare in sala tutti, ma proprio tutti, compresi scettici di nascita e amanti del film frivolo perché “Odio dover prestare attenzione costantemente. Se mi distraggo un attimo poi non capisco più nulla della trama”. Sospeso tra sogno e realtà, tra la voglia di seppellire un passato doloroso e la necessità di fronteggiarlo su ogni piano, conscio e inconscio, si muove uno strepitoso Di Caprio, criminale futuristico che si accompagna a personaggi quali Tom Hardy, Joseph Gordon-Levitt, Ellen Page e Marion Cotillard.

Un viaggio onirico il suo, nel corso del quale perdersi è cosa quasi normale e il concetto di architetto si avvicina come non mai a quello di divinità. Qui si va ben oltre il semplice “scherzare col fuoco”, si armeggia con qualcosa che ci è quasi del tutto sconosciuta, la nostra mente, convinti di poterla manovrare e gestire a nostro piacimento, quasi fosse un enorme pezzo di pongo da modellare. La mente però è viva, e in parte è distaccata dal nostro io, avvolgendo le sue spire intorno a noi a ogni passo verso la nera foresta del subconscio, fino a confondere ciò che è reale in un mondo fisico, da ciò che lo è unicamente in un eccellente viaggio astrale.

La mia città, la nostra città, adora lasciarsi andare, morbida, in un mondo di sogni. Un napoletano non scappa dai problemi che lo attanagliano, né li sotterra in piccole scatole in angoli reconditi del cervello. Le brutte storie che Napoli propina agli omini che le si muovono attraverso sono fin troppe, al punto che fuggire è soltanto un miraggio. Alle brutture imposteci però sappiamo alternare molto spesso quegli enormi e caldi fasci di luce, di una bellezza che ci tiene ancorati a questa terra, e così sogniamo, tutti, che sognare è cosa ignorante e gratuita.

Non esistono regole nel sognare, nessun Comune potrà dirvi d’aver adibito una zona a sogno limitato a Mergellina, evitando così che migliaia di persone ogni giorno si perdano, immobili, dinanzi al movimento delle onde. La parte alta della città però vanta un luogo mistico, dove la ragione viene fermata prontamente alle porte, lasciando entrare unicamente la pancia, alla quale molto spesso si lega il cuore. Ecco questo è un bel posto per sognare, lo chiamano San Paolo. Una gemma ruvida lavorata ben poco, che attende di poter risplendere come meriterebbe, ma nel frattempo accumula pensieri, sogni e desideri. Al di là delle teorie, dei fischi e degli interessi personali, uno di questi sogni lo tiene stretto ormai da mesi nel proprio palmo calloso Rafa Benitez. E’ il sogno di tornare finalmente a essere guardati, perché no ammirati, e non più additati.

Per due anni siamo riusciti a distinguere il reale dall’irreale, a fatica, dato l’arrivo imponderato di uno spagnolo in panca e un argentino in campo. Ora però siamo confusi. Il nostro totem, come quello del buon Leo, è fisso nel suo ruotare. Non cade, ma noi speriamo lo faccia prima o poi, e così lo contempliamo tra il vociare di chi annuncia ormai da tempo che è giunto il momento di svegliarsi.

Ma qui siamo a Napoli, è maggio e con questo bel caldo io di svegliarmi, qualora ce ne fosse effettivamente bisogno, non ne ho proprio voglia. E allora datemi altri 5 minuti.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

 

Luca Incoronato

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Luca Incoronato

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