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PAQUIPEDIA – 5 luglio 1984: quando Napoli si inchinò a Diego

 

Oh mamma, mamma, mamma… Oh mamma, mamma, mamma sai perché mi batte il corazon. Ho visto Maradona. Ho visto Maradona. Ué mammà, innamorato son!”.

A Forcella faceva caldo quel giovedì 5 luglio 1984. Bassi con le porte spalancate, ventagli sciosciati fino a farti venire male ai polsi e bagnarole piene di acqua gelida nelle quali immergere mani, piedi e qualche volta pure i cocomeri. Tra gente del popolo non ci si preoccupa delle formalità. Faceva caldo pure a Fuorigrotta, ma se chiedevi a quei cinquantamila ammassati dentro allo stadio San Paolo, uno addosso all’altro, con le maglie sudate, le bibite che al secondo sorso erano calde, senza manco un ventaglio; ma chi glielo faceva fare di stare lì dentro, la risposta era sempre la stessa «Zitt’… sta arrivann’».

Non c’era bisogno di fare nomi. Da Posillipo a via Toledo, dai Camaldoli fino al quartiere San Giovanni, senza scordarsi l’ultimo dei paesi di provincia; tutti sapevano chi era e tutti sapevano che il destino di un’intera città sarebbe stato riscritto da quello scugnizzo che parlava solo argentino, ma che in campo si faceva capire benissimo.

Diego Armando Maradona. Un messia che spuntò dal sottopassaggio del San Paolo e si sentì come Dante che esce a rimirare le stelle. È probabile che Maradona non sapesse nulla di Dante Alighieri, della Divina Commedia e della risalita dagli inferi; però è altrettanto probabile che fosse rimasto per un momento a bocca aperta. Immobile, a godersi lo spettacolo di quei cinquantamila sugli spalti che continuavano a ripetere il suo nome senza fermarsi un istante, senza preoccuparsi della voce, del caldo; con la mente già rivolta ai successi del futuro. A quei gol che avrebbero addolcito le domeniche pomeriggio e fatto cominciare col sorriso una nuova settimana di lavoro.

Dentro quel sinistro erano riposte non soltanto le speranze di una squadra di calcio, ma quelle di una città intera. A Diego l’onere di tingere d’azzurro le pagine ingiallite di una storia secolare. Fatta di lacrime di amarezza e continue cadute agli inferi. A quello scugnizzo coi capelli ricci, che si presentò con addosso la maglietta della salute e i jeans aderenti, l’onore di far assaporare il paradiso a milioni di tifosi. Lui che non aveva il talento letterario di Dante Alighieri ma che, nel mezzo del cammin di una carriera, si ritrovò su un verde manto erboso pronto a farsi idolatrare come un dio.

 

 

 

 

 

Gennaro Arpaia

Iscritto alla facolta di Giurisprudenza della Federico II Napoli. Giornalista pubblicista iscritto all'albo da giugno 2013.

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