Napoli come il Kobra Kai. Rafa sensei non ha mai avuto chance di vittoria

showtime finale

 

Uno dei simboli della cinematografia degli anni 80′ è senza ombra di dubbio The Karate Kid. Grazie anche alle continue repliche televisive, questo film ha accompagnato la crescita di ben tre generazioni, tutte concordi del resto sul fatto che l’unico vero “karate kid” sia quell’imbranato senza speranza di Daniel LaRusso, e dunque ragazze e figli di Will Smith esclusi.

 

Come si era soliti fare in quegli anni, la trama ruota intorno a un disadattato cronico, che nel momento in cui sembrava aver trovato un briciolo di stabilità sociale nella propria città in New Jersey, è costretto dalla madre a trasferirsi in California. E’ così disperato da fare amicizia con un vecchio giapponese che passa il proprio tempo a bere e tentare di beccare mosche con le bacchette. Anche in questo caso però ci si aggrappa a uno stereotipo, ovvero che nulla è come sembra, e infatti Miyagi diventa ben presto maestro e, attraverso i suoi folli metodi d’allenamento, impartirà lezioni di vita e d’arti marziali al giovane allievo.

 

L’obiettivo finale di Daniel è chiaro, e col karate c’entra poco. Si chiama Ali Mills, è ricca, bionda, inarrivabile e protetta da un cane da guardia che porta il nome di Johnny Lawrence. Anche questi pratica il karate, ma da molto più tempo e con un allenamento che mira principalmente a temprare il corpo piuttosto che lo spirito. Sappiamo però quanto poco contino il duro allenamento e la pratica costante contro una prolungata tinteggiatura di una lunga staccionata.

 

Fino alla fine la pellicola offre uno scontro tra filosofie opposte, quella dell’estetica, della furia e del successo a tutti i costi, e quella della riflessione, della crescita interiore e del lungo percorso spesso mal compreso e additato come folle.

 

Ecco, guardando per l’ennesima volta questo film, mi è parso chiaro come anche il Napoli si stia ritrovando tra questi stessi due fuochi. Tra non molto si concluderà il secondo anno di Benitez, che in questo poco tempo ha provato a fare l’impossibile, ovvero distruggere il Kobra Kai dal suo interno. Si è introdotto a Castelvolturno con in mano due bacchette e, mentre tutti ancora ripetevano il mantra del maestro Mazzarri: “Esiste la paura (dolore, sconfitta) in questo dojo? No Sensei”, ha provato a far beccare una mosca a calciatori come Behrami, il cui primo pensiero sarà stato quello di entrare in tackle da dietro a occhi chiuso e col piede a martello.

 

Le urla e l’impianto estetico di un gruppo urlante, pronto a dare il 100% in campo, per poi scontrarsi ripetutamente contro l’organizzazione e la tattica delle big, è qualcosa che Benitez ha da sempre disprezzato. La piazza azzurra però ha adorato gli anni di Walter, perché il suo spirito incarnava in parte il loro, così come alcuni calciatori. Tutti partivano dal basso e sfavoriti, per poi sorprendere il mondo con la propria storia alla Cenerentola. Il problema sorge però quando la stessa storia viene riproposta ancora e ancora, anno dopo anno, senza voglia di aggregarsi realmente al gruppo delle grandi.

 

Ecco perché si è scelto Benitez, ma i suoi metodi, la sua calma e il suo fare da vincente hanno spaventato tutti. Il mondo partenopeo, da stampa a tifo, si è messo sulla difensiva. Cambiare non è il nostro forte e per evitare di farlo siamo arrivati a ridicolizzare un professionista di caratura mondiale, mettendolo alla pari di ragazzini che hanno iniziato ad allenare in serie A solo nel 2008 e nel 2011.

 

In città non si parla d’altro che di un addio dello spagnolo, e in molti lo fanno con un grande sorriso in volto. Pare ci sia già il suo sostituto e, ovviamente, si tratta di qualcuno pronto a portarci nuovamente nella nostra sfera sicura, Mihajlovic, in pratica un John Kreese serbo.

 

Al di là di come finirà la storia con Benitez, Napoli questo test lo ha fallito clamorosamente. La città si è ribellata allo stesso cambiamento agognato per anni, per il semplice fatto di non riuscire a comprendere a pieno dove Rafa volesse arrivare, terrorizzati costantemente dal timore che quest’uomo volesse sfruttarli, tradirli o chi sa cos’altro. Tutti noi abbiamo pensato dinanzi a questo film che avremmo tanto voluto abbracciare la filosofia del Miyagi, allenandoci duramente con lui, pur senza capire, per poi sfidare il conformismo e l’arroganza dei Kobra. Quello però è soltanto un film, e nella realtà Rafa san è solo un folle che farà bene a lasciare questo posto il prima possibile.

 

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

 

 

 

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