PAQUIPEDIA – Palo ‘e fierro: l’uomo venuto da Sassano

Beppe Bruscolotti

 

Pensando a lui, la prima cosa che ti viene in mente è: ma esiste un posto che si chiama Sassano?
Un piccolo comune del salernitano, noto per un santuario del cuore immacolato di Maria e per aver dato i natali a lui, Giuseppe Bruscolotti. Classe millenovecentocinquantuno, mascella squadrata, un unico foltissimo sopracciglio, carattere schivo e fisico aitante. Bruscolotti non è un uomo, è un terzino.
Secondo gli storici, il suo primo vagito fu registrato dai sismografi del Vesuvio, mentre è ancora ammantato di leggenda un intervento a gamba tesa su un infermiere che, impunemente, voleva misurargli la febbre con un termometro rettale.

 

Alto già come un ragazzino di seconda media, all’asilo Giuseppe Bruscolotti difendeva i bambini più deboli mentre i suoi occhi grandi ammiravano rapiti un pallone di pezza lasciato in un angolo, come a volergli indicare il suo destino.
Il sogno di vestir la maglia azzurra divenne vero nell’estate del settantadue. Quel marcantonio coi capelli ricci e il volto scolpito a martellate, diventò molto presto l’idolo dei tifosi dello stadio San Paolo che, stanchi di pronunciare quel cognome così lungo, pensarono bene di chiamarlo Palo ‘e fierro.

 

Forse lo scrittore Edmondo de Amicis deve aver guardato Peppe Bruscolotti in campo e fuori mentre, chino sulla macchina da scrivere, raccontava del suo gigante buono Garrone. Un animo nobile di poche parole, ma dal cuore enorme. Lo stesso con cui, Giuseppe da Sassano, prese in disparte Maradona un pomeriggio d’estate di trent’anni fa. Allungandogli una pezza di stoffa bianca con sopra ricamata una vistosa C gli disse:

«Diego, questa fascia spetta a te. Diventa il capitano del Napoli ».

«No Giuseppe, no puedo» rispose Maradona, tentando di farlo desistere da quel proposito.

«Aspetta, non ho finito. La lascio a te perché sei il vedo leader di questa squadra e più di tutti meriti di esserne il capitano. A patto che mi fai una promessa».

«Quale?»

«Lo scudetto. Tra un paio di anni smetterò col calcio. Me so’ fatto viecchio. Prima di ritirarmi, però, vorrei vincerne uno pure io e farlo con questa maglia addosso è sempre stato il mio unico desiderio. Regala quella pezza tricolore a me e a tutti i tifosi del Napoli».

E Diego Armando Maradona tenne fede a quel giuramento in un caldo pomeriggio di maggio del millenovecentottantasette.

 

Più di cinquecento furono le partite con quella maglia azzurra che sognava fin da piccolo. Mentre gli altri ragazzini correvano dietro al pallone e lui restava fermo. Pronto a fermare la corsa di qualche attaccante sdentato, passando poi la palla a qualche ragazzino con i piedi buoni.
Quelli che Bruscolotti dimostrò avere in una semifinale di Coppa delle Coppe del settantasette, nel quale si distinse come goleador e fine dicitore, in barba al carattere silenzioso. Prima di correre sotto la doccia, un microfono gli si parò davanti alla faccia.

«Giuseppe raccontaci questo gol»

«Ho visto la palla che mi arrivava, ho tirato una cagliosa e ho visto la rete che si abbuffava».

 

 

A cura di Paquito Catanzaro (Twitter: @Pizzaballa81)

 

 

 

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