Ciò che non uccide, fortifica. E i vecchi detti di paese fanno sempre bene.
Così come bene potrebbero fare al Napoli, in uno dei momenti peggiori della sua vita recente, di quella parentesi vitale che s’è aperta nell’ultimo decennio e che ha visto la squadra azzurra tornare nel gotha del calcio italiano ed internazionale.
Ciò che non uccide, fortifica. Eppure il Napoli ce la sta mettendo tutta per uccidersi con le proprie mani.
Partite perse, prestazioni inguardabili, serate da cancellare. I dissidi interni che spaccano lo spogliatoio e quelle mezze accuse di un padre ai suoi figli che, ad oggi, fanno più male che bene.
Aurelio è padre-padrone, e come tutti i padri di questo tipo avrebbe dovuto chiudere prima la porta di casa.
“Tu stasera non esci”, avrebbe dovuto dire, urlare prima di arrivare ad oggi.
Ma in fondo il mestiere di padre non di insegna, e si apprende solo strada facendo. E a dieci anni i figli cominciano a dare i primi problemi. Non sono bambini, ma neanche adolescenti. E in quella fase di transizione ci sguazzano con piacere.
L’UNICA COSA CHE CONTA – Il ritiro è una punizione. Una di quelle senza soluzione di continuità.
Dovrebbe durare fino a fine stagione, potrebbe essere così, ma in fondo c’è una sola soluzione per evitarlo, o quantomeno abbreviarlo: vincere.
Il Napoli deve vincere per se stesso e per la città. Come recita il motto avversario: “È l’unica cosa che conta”, mai come in questo momento.
Napoli non riesce ad andare più “Oltre il risultato”, perché oltre quello c’è davvero ben poco. Una squadra destinata a dividersi, un gruppo non coeso, un allenatore con la valigia pronta e le belle speranze ormai andate.
C’è una società impreparata alle crisi di rigetto, quelle che possono far male ma che servono anche a crescere.
La Fiorentina non è avversario scontato, ed è l’alter ego degli azzurri: appena eliminata in modo cocente dalla Coppa Italia, alla ricerca di un posto in Europa per il campionato, e investirà gran parte delle energie a disposizione in una Europa League che la vede ancora tra le protagoniste.
Montella non è Rafa, ma i due si somigliano tanto. E l’Aeroplanino è legato a Napoli da un doppio filo: il primo di sangue, per uno che viene dalla provincia di questa città, il secondo è del futuro, perché ADL non ha mai fatto mistero di avere un debole per lui.
Battere i Viola significherebbe superarli, ma soprattutto ritrovare il sorriso. E significherebbe anche che le punizioni possono ancora servire.
DIVENTARE GRANDI – È crisi? Si, lo è, ma non deve trasformarsi in una sconfitta ancora più grande. Dopo le ultime ottime stagioni, il Napoli conosce un calo, un momento di flessione fisiologico se si pensa a dove si è partiti e dove si è arrivati.
La domanda più importante allora è: come rialzarsi?
L’allenatore sembra sempre più lontano già oggi, la squadra potrebbe perdere pezzi importanti a fine stagione, la società potrebbe cambiare pedine, riassegnare i ruoli.
Resterà Napoli, il Napoli coi suoi tifosi. E quel progetto che deve provare a ripartire, a rinnovarsi, a rinascere dalle difficoltà incontrate.
Non è una stagione deludente, ma sicuramente potrebbe esserlo in base a quelle che erano le aspettative.
Scudetto, Champions, bel gioco e grandi campioni. Oggi a Napoli manca quasi tutto.
Si ripartirà da un ritiro e dagli ostacoli che potrebbero essere vitali per il Napoli.
La scalata dalla C all’Europa partì dopo la batosta della mancata promozione in B, al primo anno di De Laurentiis. Col patron che ha sempre dimostrato di saper imparare dai propri errori.
Sarà così anche questa volta, e si ripartirà da quanto di buono costruito.
Senza Benitez, magari anche senza Callejòn o Higuain.
Ma col Napoli, Napoli e la gente che deve tornare a sorridere al San Paolo. Perché è dalle difficoltà che vengono fuori i grandi trionfi.
A cura di Gennaro Arpaia (Twitter: @gennarojenius9)
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