Basta facili isterismi. L’ipocrisia rende impossibile un vero progetto Napoli

showtime finale

Nel 2010 la Universal Pictures ha realizzato, nella persona di Tom McGranth, una gemma d’animazione col titolo di Megamind. Una favola amara, condita magistralmente da musiche del buon rock anni ’80-’90, in grado di mostrare quanta superficialità regni nelle nostre normali vite.

Se nel mondo reale vengono continuamente additati e allontanati “stranieri” e “diversi”, fonti di timore, su questa fantasiosa Terra Megamind subisce la stessa identica sorte. E’ un alieno ed è giunto qui insieme a Metro Man. Origini identiche ma aspetto decisamente differente. Per il superman pompato nulla è precluso. Forza e apparenza gli fanno da scudo per la vita, mentre un’intelligenza fuori dalla norma e una pelle blu offrono all’altro nient’altro che odio e scherno, tradotti ben presto in una vita criminosa, contrapposta a quella eroica dell’idolo delle folle.

Megamind è costretto a subire umiliazioni ogni giorno della sua vita. Rappresenta il male che, se tenuto a distanza di sicurezza, conferisce all’uomo medio quella serenità di cui ha disperatamente bisogno. Tutto bene fin quando Metro Man non passa a miglior vita, costringendo i poveri umani a doversi trovare un nuovo eroe, fosse anche quel piccolo e gracile genio tanto diverso quanto temuto che per anni è stato calpestato da chiunque.

Questo mix di ignoranza e ipocrisia rappresenta il principale problema che rende impossibile un duraturo progetto sportivo a Napoli. Il biennio Benitez ne è un classico esempio. L’ex Liverpool è giunto in città con la nomea di re di Coppe, eppure in tanti, tra stampa locale e tifosi, non lo hanno mai visto di buon occhio. Quanti italiani avrebbero potuto prendere il suo posto, quanta saccenza nel credere di poter comprare soltanto all’estero, ignorando i talenti nostrani. Un tecnico che prova a rendere l’esperienza del calcio qualcosa di normale, come avviene in Inghilterra, senza costringere i propri ragazzi a lunghi ritiri ed allenamenti sfiancanti, solo per tenere sempre alta la tensione per un intero anno. Tutto questo non poteva che cozzare con la nostra “cultura”, fatta di dubbi e sospetti, accresciuti dalla voglia di famiglia di Rafa, che si è permesso il lusso di tornare a volte a casa dai propri affetti, scatenando un vero e proprio putiferio.

Napoli adora le storie alla Cenerentola, come quella di Cavani, sul quale nessuno puntava, e che si è rivelato uno dei bomber più forti degli ultimi anni. Un personaggio quanto più lontano da Higuain, apprezzato e mai realmente amato in città, essendo giunto a Napoli come una star, già affermata e contesa dalle big europee. Da lui era “onesto” attendersi 4 reti a partita, nonostante a un altro argentino si sia perdonato tutto, compresi gli svarioni sotto porta. Lui però, ancora nel cuore di tanti, era un elettricista dal dribling facile e uno scatto incredibile. Come poteva non far breccia nei cuori di tutti una storia del genere.

Lo sa bene Callejon, che ha vestito gli abiti del dio per un intero anno, per poi ritrovarsi a essere offeso a ogni singola gara nel momento in cui i gol sono venuti a mancare.

Questo non è tifare, questo non è amore. Questa è maledetta frustrazione, che logora tutti e ci porta al San Paolo colmi d’astio nei confronti di coloro che sono obbligati a regalare vittorie e trofei, perché Napoli è Napoli, una big italiana da sempre. Peccato però questa sia una bugia, e la gente dovrebbe smetterla una buona volta di pretendere, imparando ad apprezzare quanto di buono fatto, accettando anche le annate negative, che ci saranno anche in futuro, e sono naturali in un percorso di crescita.

Resta ora un solo vero obiettivo stagionale e, invece di esaltarsi e deprimersi, applaudire e fischiare, col trascorrere delle settimane, proviamo a supportare quei colori fino alla fine, perché se è vero che “Il Napoli siamo noi“, come si intonava ieri al San Paolo, questo infinito processo non fa che danneggiare per primi gli stessi urlatori.

di Luca Incoronato (Twitter: @_n3ssuno_)

 

 

 

 

 

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