In treno, direzione Roma, con la mia twin.
Niente settore ospiti ai residenti in Campania.
Una partita fondamentale, per gli azzurri, senza il supporto dei suoi tifosi.
Le scelte, le condizioni e le assurde decisioni dopo la morte di Ciro Esposito sono contro ogni logica.
Roma è grigia stamattina, ma dal taxi una coppia con maglie azzurre ci mette di buon umore.
Il tassista, un uomo sulla cinquantina, ci parla del suo amore per l’Inter in dialetto romanesco.
Durante il tragitto ci racconta della sua passione.
Degli anni d’oro e delle vittorie.
I derby per lui non hanno valore. Tifa per lo sport oltre ogni colore.
Ci accompagna fino all’ingresso della Tribuna Monte Mario, ci saluta e si preoccupa per noi.
“Ragà, nun parlate con nessuno. State attente quando uscite e chiamate un taxi. Evitate le metro e gli autobus. Non si sa mai.”
Non si sa mai? Ma dove viviamo se dobbiamo star lì a preoccuparci per una partita di pallone?
Il 3 Maggio sembra ieri.
Sembra ieri che da questo stesso stadio siamo usciti con il cuore a pezzi, vittoriosi e al tempo stesso sconvolti ed annichiliti.
Tribuna Monte Mario, il covo dei romanisti “perbene” che di perbenismo non conoscono neppure il senso lato.
Circondate da uomini in giacca e cravatta, coppie over 50 e ragazzetti che imprecano contro maglie azzurre, in campo per il riscaldamento.
Silenziose ci guardavamo intorno per studiare la situazione.
Il fischio d’inizio e l’Apocalisse.
Un primo tempo soporifero e un gol regalato.
La Curva Sud intona lo stesso coro per tutti i 90+4′.
Mentre loro canticchiavano “Lavali, lavali, lavali col fuoco” io ed Eli, rispondevamo “Lavaci, lavaci, lavaci col fuoco”
Meglio morire per mano della nostra terra che assassinati dai vostri infami tifosi.
E i cori echeggiano anche dalla tribuna, stare in silenzio è contro ogni forma di amor proprio.
Teste voltate e i nomi dei giocatori azzurri urlati a gran voce.
Ed ecco una raffica di “Queste so Napoletane” ed alzate di spalle e facce fiere.
Non si rinnega il proprio amore, soprattutto nella tana del Lupo.
Altro che Lupi quelli che ci circondavano.
Agnelli travestiti per un gol regalato, per un Ghoulam, Lopez, Albiol che non hanno seguito l’azione.
Agnelli a cui è stato concesso di ululare dopo mesi di silenzi.
Ai quali abbiamo concesso troppo senza far nulla per ostacolarli.
Nessuno nella squadra azzurra che segua chi non porta palla.
Benitez, Re di Coppe, ha commesso un errore di valutazione.
In campo scende chi sta meglio. Scende chi rende e chi è utile alla causa.
Callejon, Britos, De Guzman, Lopez, Jorginho a discapito di Gabbiadini, Gargano, Zuniga, Insigne, Zapata.
Una Roma mediocre, un Napoli benefattore e una sconfitta difficile da digerire.
Entra in campo Lorenzo Insigne, tutti belli comodi in tribuna, io e la twin in piedi per applaudire il ritorno dello scugnizzo.
I cori, sempre li, ora ancora più forti e urlati a gran voce.
Il triplice fischio e l’orgoglio che si impossessa della delusione e tira indietro le lacrime.
Tutti a canticchiare, tutti felici e pronti a insegnare al futuro ultras assassino le nuove manovre per minacciare.
Trasferta da ricordare.
Per ricordare, che quella gente non conosce il senso puro di questo sport.
Per ricordare, che mai più guarderemo una partita circondate da infami.
Per ricordare, che la mia terra va difesa e protetta nonostante tutto e tutti.
Per ricordare, che la mia gente non sarà mai come loro.
Per ricordare alla squadra azzurra, che doveva lottare e crederci fino all’ultimo minuto.
Doveva combattere e vincere per difendere chi c’era e chi a distanza soffriva.
Gli azzurri non hanno reso quanto dovevano a questa terra.
Questa gente, la mia gente, merita molto ma molto di più.
La pioggia ci è venuta in soccorso, tragitto in silenzio.
Mano nella mano e sguardo da panda, le lacrime avevano fatto il resto.
di Anna Ciccarelli
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