PAQUIPEDIA – Hasse Jeppson

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Un grande Napoli per una grande Napoli. Quell’estate del millenovecentocinquantadue, il presidente Achille Lauro non badò a spese. Per conquistare lo scudetto, e mantenere la poltrona di sindaco di Napoli, decise di acquistare tre fuoriclasse. Prima Vitali, poi Pesaola e infine lui: Hasse Jeppson. Un armadio a due ante con una matassa di capelli biondi, la parlata strana e le idee molto chiare. «Sono a Napoli per fare tanti gol!». Saranno state queste le sue prime parole napoletane. Sussurrate a qualche tifoso che gli stringeva la mano oppure a qualche giornalista con il taccuino pronto e la biro tirata fuori con un gesto secco, per non macchiare carta e vestito buono.

 

Ma sulle pagine dei quotidiani quel che subito fece notizia fu la cifra sull’assegno che don Achille Lauro dovette staccare per comprarlo dall’Atalanta. A Bergamo si fecero due conti, altri due se li fece Jepsson e fu così che in basso a destra di un foglio pieno di clausole e cavilli, comparve l’altisonante cifra di centocinque milioni di lire.

 

Per un attimo tremò la comoda poltrona del primo cittadino che lì per lì pensò che sarebbe stato più saggio candidarsi a sindaco in un comune più piccolo. Sorrento, Torre del Greco, Serino. Bacini di utenza ridotti, ma pure aspettative calcistiche più moderate.

 

Tuttavia, indossato il vestito più elegante, piazzato un sigaro tra i denti e poggiato il cappello sulla nuca, si presentò al Banco di Napoli per chiedere il via libera di quell’operazione che avrebbe trasformato la sua squadra da promettente esercito a invincibile armata, pronta a maramaldeggiare a destra e manca. Da Catania fino all’odiata Torino. Il Banco di Napule aprì le casse e fu così che quel gigante buono vestì la maglia azzurra.

 

Quattro stagioni, oltre cinquanta gol e un sorriso che lo faceva assomigliare più a uno scugnizzo dei quartieri che a un giovanotto cresciuto nel freddo della Svezia.

 

E mentre Napoli entrava nelle vene di Jeppson, il ragazzone biondo entrava nell’idioma napoletano. «Ah! Mannagg’ a Jeppson» gridavano le mamme dai balconi imprecando contro i figli e medesimo era l’improperio del cittadino distratto a cui avevano sfilato il portafogli sopra un tram. Se invece la giornata prendeva un’inaspettata piega sorridente ecco che si sprecavano gli «Anema ‘e Jeppson».

 

I momenti più solenni, però, si vivevano allo stadio. Ogni volta che il gigante buono toccava palla era un susseguirsi di «Vai, non ti fermare» oppure «Tira, tira!», sostituiti, in caso di intervento falloso sulle tibie o sui peroni di Hasse Jeppson, da un laconico «Fermi! Se n’è caduto ‘o Banco ‘e Napule».

 

A cura di Paquito Catanzaro

 

 

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